Magazine Cultura
A volte basta un sentore, un profumo, un odore. Il cervello dell'uomo è davvero uno macchina strana. Entri in un luogo, senti rumori, movimenti e subito si accende qualcosa; avverti una fragranza particolare e immediatamente scatta la sensazione e la catena dei ricordi si mette in moto come quando schiacci lo start del computer e la macchina comincia a girare, a scavare nei meandri delle connessioni per ritrovare momenti dimenticati, ma che non erano perduti, solo accantonati, catalogati, archiviati e tutto questo mette a sua volta in moto l'onda del sentimento, che non è razionale e meccanica, ma che si nutre di dati per creare sensazioni, afflati, desideri, onde di nostalgia assolutamente irrazionali e non meccanicistiche. Così l'altro ieri, entrato negli alti padiglioni della fiera a Milano, mentre l'occhio correva a decrittare in automatico marchi vecchi e nuovi e lo sguardo vagava inutile sulle rotondità esibite delle standiste fasciate e strizzate dei classici tubini da fiera, alle spalle mi aggrediva un aroma silenzioso, malandrino e ammiccante, quel particolare ed inconfondibile e grato odore di plastica estrusa che aleggia nell'aria delle fiere del settore, e che accompagna inequivocabilmente i tonfi cadenzati delle presse, tamburo sacro di questa religione, battito zen imperturbabile del moderno demiurgo. Eccomi subito entrato in questo mondo come una Alice in una Wonderland piena di giocattoli grandi e luccicanti, macchine creatrici dalle cui bocche escono implacabili, tubi, fogli, fili; animali metallici giganti che aprono magicamente le loro fauci per fare apparire oggetti cavi, stampati, soffiati, riempiti, plasticamente modellati dalla fantasia del Creatore che ne ha plasmato le linee, curve e filanti, ripetibili all'infinito. Arte pura.
L'onda dei ricordi corre nella macchina del tempo e tra gli spazi incontri subito facce conosciute, solo un poco più invecchiate, pacche sulle spalle, amici, gente che cercava di soffiarti i clienti e con cui ora prendi un caffè caldo e ricco di rimembranze, vecchi clienti invece, con cui hai lottato per ottenere una firma e che ti salutano con piacere. Sdradsvuitije, kak diejlà? Le lingue si rincorro. E' davvero un ripiombare indietro nel tempo, un ripercorrere strade lontane valutando la tua fortuna di non aver lasciato dietro le spalle acredini o conti sospesi, ma solo un pizzico di nostalgia. Non siate irridenti valutandomi con l'aria di sufficienza con cui si guardano i vecchi al ricovero; è stato il mio mondo per una ventina di anni, mi avrà pur lasciato un solco nel cuore e io pure avrò lasciato un piccolo segno del mio passaggio, non vi pare? Allora lasciatemi crogiuolare in questo sentimento dolciastro, così piacevole per gli amici rivisti, i conoscenti incontrati, reso un po' triste solo dal vedere situazioni che la durezza del mondo economico e la rapacità di qualcuno ha reso particolarmente difficili, sempre per gli stessi, naturalmente, la parte debole della macchina produttiva, quei dipendenti di una antica azienda torinese che sta chiudendo vinta dalla lotta spietata e dalle astuzie furbesche delle pieghe del mercato, ventre molle dove affondare il bisturi che non conosce le persone ma solo i numeri. Me ne sono tornato a casa dal Plast 2012 con ancora le orecchie carezzate dai tonfi delle ginocchiere, dal frusciare del film di polietilene che si arrotola, dal ticchettare dei tappi che cadono come cioccolatini colorati dallo stampo. Questa mattina me ne sono ritrovato uno in tasca; deformazione professionale, la mano in automatico raccoglie ancora i campioni, per esaminarli più tardi, con occhio critico e curioso. Arrivederci ragazzi, buona fiera.
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