Magazine Cinema
Storia ai limiti della mostruosità. Lee Daniels dirige un ritratto che supera l'orrore, trascende il tempo, nonostante l'ambientazione anni '80, colpisce per carica eversiva e morbosa e soprattutto crea un'immagine di forte oppressione, prima visiva, poi sentimentale. La ciambella non riesce, ma il film, pur essendo sovraccarico, restituisce una storia personale, dal famoso testo di Sapphire, che è un atto d'accusa impietoso ma anche un messaggio di speranza. La Sidibe è dilaniata dai maltrattamenti che il mondo le riserva, ma riesce a trovare la via.
"Giglio Infranto" è un film profondamente femminista e Griffith realizza il suo vero e piccolo capolavoro. No alle scene di massa, no alle visioni complesse, ma si punta tutto sull'interpretazione di una superba Lilian Gish. La storia affonda nel dramma il suo spirito e finisce nel dramma. Il mondo è una trasposizione cinematografica splendida (anche per la fotografia di Bitzer) di un qualsiasi Dickens, o meglio della sua animam poetica.
"Volver" comincia con un atto orrendo e una risposta drammatica: lo stupro di un padre verso la figlia e l'omicidio dell'uomo da parte della madre. In piena salsa Almodovar, con tanto di rosso sangue acceso. Ma è la malinconia, quella del "ritorno", quella della comunanza, quella della speranza, ad impastare il film e a rendere succoso il contenuto. Un amore espresso verso la femminilità, nell'assenza e nella presenza, ma anche un atto di solidarietà alle donne unite nella famiglia, spesso capaci di essere le uniche compagne di viaggio, con uomini senza bontà e senza capacità di sopportazione. Elogio dell'animo femminile, dal gran cast. E Penelope è splendida, eroica, e soprattutto pragmatica.
Il regista non c'è più, venuto qualche anno fa a mancare. Ousmane Sembène ha fatto tanto per la sua terra. E ha ritratto un mondo di donne dominate dagli uomini, in cui l'infibulazione è una pratica barbara che lascia dietro di sè una notevole scia di morti. C'è, nel villaggio, una donna che si oppone, Collè, e un escamotage per prevenire la tappa obbligata di "purificazione", la proclamazione del "moolaadè", il diritto d'asilo. Tra dramma e speranza, si apre una nuova fase. Di denuncia, ma soprattutto di umanità.
La storia dei conventi "Magdalene" è un pò come la storia dei preti pedofili. Avvolta nell'ombra, rigettata dalle autorità ecclesiastiche. La violenza è fisica, detentiva, psicologica, crudele. Le suore rappresentate compiono ogni cattiveria, umiliazione. Le ragazze sono costrette ad un pentimento che non ha ragione e i "Conventi-lavanderia" sono il luogo dei soprusi. La colpa? La bellezza, la sessualità, la non conformità. La dottrina impone espiazione e nell'Irlanda si compie il dramma di tante adolescenti costrette a tenere chiuso nel proprio animo un segreto così gravoso. E l'handicap di una protagonista, abusata, è affidata non alla grazia divina, ma alla prigione psichiatrica detentiva. "Non sono uomini e donne di Dio e mai lo saranno".
"La ciociara" è un'ode al dramma, un realismo "diversificato", femminile, affine al melò. De Sica dirige il dolore, quello intenso della violenza e crea un mondo popolato dai sensi di colpa e dominato dalle barbarie, naziste ma non solo. Il mutismo e l'esplosione del dolore fanno delle due protagoniste, madre e figlia, un simbolo cinematografico di grande intensità e pongono le basi di una versione più organizzata e più commuovente dell'assetto narrativo. Il film è tratto da Moravia, e la Loren vinse l'Oscar.
Panahi denuncia, e siamo ancora nel 2000. L'Iran subisce un imbarbarimento, ma lo stato attuale è ancora lontano. In "Dayereh - Il cerchio" domina la figura geometrica e si introduce nel sistema narrativo fino a complicarlo. Storie di donne e drammi, ma soprattutto storie diverse ma uguali in un cerchio oppressivo in cui, a detta delle parole del regista, " come se ogni donna potesse essere sostituita da un'altra e questo finisce per renderle tutte uguali".
Potrete ridere con Germi. Ma potrete anche riflettere. Il grottesco sfida tutto, limiti da censura compresi. E il film diventa una dissertazione sociale. In "Divorzio all'Italiana", con leggerezza, ma anche con impareggiale forza dissacratrice, si parla di "Delitto d'onore" e di quel sistema giuridico che, troppe volte, in un Paese occidentale ha impiegato troppo tempo nel diventare realmente democratico. Il fatto che il delitto s'onore sia stato abrogato nel 1981 in Italia, con l'articolo 587 del Diritto Penale che fa inorridire ancora oggi al solo farne menzione, mostra come la strada per i diritti civili sia stata (e sia a livello sostanziale) lunga. Nel film si vede un Don Giovanni (Mastroianni) cercare la fanciullezza piuttosto che la semi-baffuta moglie ufficiale. Da qui un piano ordito per un finto "Delitto d'onore", con il plauso di chi lo vede difesore della moralità contro la donna adultera. Nel cast c'è la Sandrelli, ma soprattutto un Leopoldo Trieste da antologia.
"Lanterne Rosse" è un film ambientato nella Cina anni '20 e unisce al racconto drammatico un'abilità visiva senza precedenti. Yimou crea un mondi di donne-concubine, le cui lanterne brillano e diventano rosse, quando l'amato decida di intrattenersi con una di loro. E' un film che galleggia tra la critica sociale e la poesia, poesia di un mondo affascinante, e in cui piuttosto che empatia domina una costante lotta femminile, senza possibilità di uscita e in cui la minaccia di morte è sempre presente, marcata, una "lanterna nera" in scena. L'ottica molto teatrale aiuta il film, che vanta l'interpretazione di un'espressiva Gong Li.
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