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"Il maniaco dei barriti ha cominciato a perdere consistenza e volume, a contrarsi, è diventato quasi rotondo, trasparente come una bolla di sapone, ammesso che i pessimi saponi che si fabbricano di questi tempi siano in grado di formare quelle meraviglie cristalline che qualcuno ha avuto la genialità di inventare, e d'improvviso è scomparso alla vista. Ha fatto plof ed è sparito. Certe onomatopee sono provvidenziali. S'immagini se avessimo dovuto descrivere il processo di sparizione del soggetto con tutti i particolari. Ci sarebbero volute, almeno, dieci pagine. Plof."
"Una cosa che si stenta a capire è che l'arciduca massimiliano abbia deciso di fare il viaggio di ritorno in quest'epoca dell'anno, ma è così che la storia l'ha lasciato registrato come fatto incontroverso e documentato, avallato dagli storici e confermato dal romanziere, cui si dovranno perdonare certe libertà in nome, non solo del suo diritto a inventare, ma anche della necessità di colmare i vuoti perchè non andasse del tutto perduta la sacra coerenza del racconto. In fondo, c'è da riconoscere che la storia non è solo selettiva, è anche discriminatoria, della vita coglie solo ciò che le interessa come materiale socialmente ritenuto storico e disprezza tutto il resto, proprio là dove forse si potrebbe trovare l'autentica spiegazione dei fatti, delle cose, della porca realtà. In verità vi dirò, in verità vi dico che vale di più essere romanziere, narratore, menzognero. O cornac, nonostante le bizzarre fantasie a cui, per origine o professione, sembrano essere inclini. Sebbene a fritz non rimanga altro rimedio che lasciarsi portare da solimano, dobbiamo riconoscere che questa istruttiva storia che siamo qui a raccontare non sarebbe la stessa se un'alta fosse la guida dell'elefante. Fino a ora, fritz è stato un personaggio decisivo in tutti i momenti del racconto, sia drammatici che comici, rasentando persino il ridicolo ogniqualvolta lo si sia ritenuto conveniente per il buon condimento della narrativa, o solo tatticamente consigliabile, dissimulando le umiliazioni senza alzare la voce, senza alterare l'espressione del viso, cauto nel non lasciar trasparire che, se non fosse stato per lui, non ci sarebbe lì nessuno a portare la lettera al destinatario, l'elefante a vienna. Può darsi che queste osservazioni siano considerate superflue dai lettori più interessati alla dinamica del testo che a manifestazioni ipoteticamente solidali, e in certo qual modo ecumeniche, ma fritz, come si è visto, piuttosto scoraggiato in conseguenza degli ultimi disastrosi accadimenti, aveva bisogno di qualcuno che gli posasse una mano amica sulla spalla, ed è solo questo ciò che abbiamo fatto, posargli la mano sulla spalla."
"Senza neve è molto più bello. E' più belle come, ha domandato il compagno curioso, Non si può descrivere. E davvero, la più grande irriverenza verso la realtà, qualunque essa, la realtà, sia, che si potrà commettere quando ci dedichiamo all'inutile lavoro di descrivere un paesaggio è di farlo con parole che non sono nostre, che non sono mai state nostre, si badi bene, parole che sono già passate per milioni di pagine e di bocche prima che arrivasse il nostro turno di utilizzarle, parole stanche, esauste dopo essere andate di mano in mano lasciando in ciascuna una parte della propria sostanza vitale. Se scriviamo, ad esempio, le parole ruscello cristallino, così tanto applicate proprio nella descrizione dei paesaggi, non ci soffermiamo a riflettere se il ruscello continui a essere tanto cristallino come quando lo abbiamo visto per la prima volta, o se abbia cessato di essere un ruscello per trasformarsi in un fiume impetuoso, oppure, misera sorte questa, nel più infetto e maleodorante dei pantani. Ancorchè non lo sembri a prima vista, tutto questo ha molto a che vedere con quella coraggiosa affermazione, pronunciata prima, che semplicemente non è possibile descrivere un paesaggio e, per estensione, qualsiasi altra cosa. In bocca a una persona di fiducia che, da quello che dimostra, conosce i luoghi come essi ci si presentano nelle diverse stagioni dell'anno, parole del genere danno da pensare. Se una tale persona, con la suo onestà e il suo sapere fatto di esperienza, dice che non si può descrivere ciò che gli occhi vedono, traducendolo in parole, sia essa neve o rigoglioso frutteto, come potrebbe azzardarsi a farlo chi in vita sua non ha mai attraversato il passo del brennero e neppure in sogni in quel sedicesimo secolo, quando mancavano le autostrade e le stazioni di rifornimento di benzina, croissant e tazzine di caffè, oltre che un motel per passare la notte al caldo, mentre qua fuori imperversa la tempesta e un elefante smarrito lancia il più angosciante dei barriti"
José SaramagoIl viaggio dell'elefante
Bisogna ammetterlo: c'è del genio. Saramago, a intervalli irregolari si affaccia sulla storia che sta scrivendo, come un curioso alla finestra. E commenta. Lo scrittore gioca. Con la punteggiatura, con le parole, con i piani spaziali e temporali, con i paradossi. Ed è quanto gli riesce meglio! Si fa, a tratti, lettore lui stesso, tanto che cambia registro e, spesso, usa un "noi" più rassicurante e inclusivo, che lascia pensare a come il suo romanzo sia un incontro, una sintesi, tra chi legge e chi scrive. Tornano alla mente alcune lezioni di italiano, al liceo, in cui un professore particolarmente in gamba, spiegava qualcosa di affine, pensando a come la pubblicità interrompa il film, riportandoci al reale presente, o come, proprio nel bel mezzo di un salto con la loro coupè arancione, i fratelli Duke venissero bloccati a mezz'aria, con un fermo immagine, per lasciar spazio al narratore un po' invasivo. E' quanto di più simile allo strappo nel cielo di carta pirandelliano, portato all'estremo. Se si riesce a parlare dell'autostrada del Brennero in un libro ambientato ai tempi di Joao III, del resto, di estremi si tratta. Il tutto dura il tempo di una parentesi, poi torna sulla schiena dell'elefante in cammino, a raccontare la storia. Ed è come se si sparisca, temporaneamente, tra le righe del libro. Plof!
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