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Poesia delle sfere celesti: Leopardi, Guidacci, Giuntini

Creato il 03 maggio 2014 da Dragoval

Personalmente, ho sempre considerato il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia il vertice della poesia di Leopardi, in cui la sua lirica trascende i limiti dell’angustia  del borgo selvaggio e del compatimento autoreferenziale   per espandersi in una dimensione cosmica, con il cielo e il deserto unici testimoni della desolazione del pastore per le domande di senso ostinatamente rimaste senza risposta:

Dimmi, o luna: a che vale

al pastor la sua vita,

la vostra vita a voi? Dimmi, a che tende

questo vagar mio breve,

il tuo corso immortale?

images
 

Curiosamente, nella tradizione a seguire la poesia cosmica non sembra  trovare epigoni (a parte, forse il cielo pascoliano che inonda la terra malvagia d’un pianto di stelle).

Almeno fino a Margherita Guidacci e Francesco Giuntini. Entrambi fiorentini, entrambi poeti appartati, di una tale, delicata riservatezza da nuocere,forse, alla diffusione e alla conoscenza stessa della loro poesia da parte del pubblico.

Ripercorrere qui le diverse fasi e i diversi aspetti dell’ispirazione di Margherita Guidacci appare arduo; per chi volesse approfondire, oltre alla splendida prefazione di Maura Del Serra alla raccolta dell’opera poetica dell’autrice pubblicata da Le Lettere :

Poesia delle sfere celesti: Leopardi, Guidacci, Giuntini

il vibrante contributo di Giovanna Fozzer, che denuncia l’indisponibilità (o l’incapacità) della critica a concedere alla poesia guidacciana l’attenzione e lo spazio che merita: http://www.infinitetracce.it/content/unautrice-lasciata-nel-segreto-margherita-guidacci/57

In una delle sue raccolte più tarde, Il buio e lo splendore , la poetessa, dopo aver affidato alla voce profetica delle Sibille  gli arcani, ancestrali misteri sul senso dell’ esistenza, intesse un colloquio con gli astri più noti del  nostro emisfero, secondo una Mappa del cielo invernale che rivela un’affettuosa familiarità con le sfere più luminose o un sottile rimpianto per gli splendori celati ai nostri occhi, come Canopo (la stella più splendente dell’emisfero australe, analoga alla nostra Sirio e  non troppo distante dalla Croce del Sud):

Con la mappa del cielo invernale, che tu hai disegnato per me,

uscirò prima dell’alba in una piazza ormai vuota

d’uomini e alzerò gli occhi ad incontrare

i viandanti stellari che lentamente si muovono intorno al polo dell’Orsa.

Ai più splendenti chiederò: “Sei tu Rigel? Sei tu Betelgeuse? O Sirio? O la Capella?”,

restando ancora in dubbio (tanta è la mia inesperienza nonostante il tuo aiuto)

su quale sia la risposta. E intanto penserò a San Juan,

perché quella sarà la notte di Dio, dopo la notte dei sensi e dell’anima; e le stelle,

riconosciute o ignote, saranno per me tanti angeli

il cui volo silenzioso mi conduce verso il giorno.

E penserò anche a te, che da un altro parallelo contempli,

ugualmente assorto, lo stesso firmamento,

sentendo come me un gelo esterno ed un fuoco interiore,

mentre i nostri cuori lontani, che sono ancora imprigionati nel tempo,

lo scandiscono all’unisono.

 

Come si legge nel  notevole saggio di Ilaria Rabatti “Tra poesia e profezia : Il buio e lo splendore e l’ultima fase della poesia di Margherita Guidacci,: 

L’assidua contemplazione della “scrittura del cielo” (dei danteschi “volumi eterni”),acuminata di valore introspettivo, costituisce il suggestivo centro ispiratore della sezione, e si conferma come privilegiato “luogo dell’anima” per un ininterrotto monologo-dialogo con l’amante lontano (“Non è più un luogo dello spazio / né un luogo del tempo: è divenuto / ormai luogo dell’anima / quell’indicibile firmamento/ che contemplammo insieme”). Gli incommensurabili e “indicibili” spazi cosmici scintillanti di stelle diventano, nell’immaginario poetico guidacciano, una presenza rassicurante, “familiare”, il fulgido specchio sul quale puntare lo sguardo per orientare i propri pensieri ed indirizzarli, lungo invisibili rotte celesti, verso il cuore dell’altro,in un “abbraccio immateriale” ed angelico.

Appare quindi evidente che, nonostante l’apparente leggerezza, l’ispirazione della Guidacci presenti una valenza altamente spirituale, e che il viaggio tra le stelle abbia una meta evidentemente trascendente (la riunione con l’amato, aldilà del tempo e dello spazio), influenzata  forse dal misticismo occidentale (non appare casuale il riferimento a San Juan de la Cruz, molto amato anche da Cristina Campo). Il profondo afflato religioso  della raccolta trasmette anche alle sfere celesti il suo alito di vita, rendendole realtà palpitanti e partecipi di una futura epifania della luce, che accolgono  il dramma della vicenda umana solo per proiettarlo verso il suo superamento in una dimensione altra. Assolutamente diverso l’approccio di Francesco Giuntini, anch’egli poeta della linea fiorentina,  che  si dispone a salire le stelle  in quella che è forse la sua raccolta più perfetta, Il senso della misura , nella sezione Per le sfere celesti , miracoloso portento di rigore architettonico, di tensione e chiarezza della parola poetica.

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Poesia delle sfere celesti: Leopardi, Guidacci, Giuntini

Qui ogni autobiografismo, ogni pur minimo riferimento personale  (pure ricorrenti nella precedente raccolta  La fabbrica del tempo ) appare dissolto;  la vicenda diversa dei corpi celesti diviene  correlativo oggettivo della vicenda umana.Qui i corpi celesti, spesso immemori di sé e del proprio passato, oscillando continuamente tra il  senso letterale e quello metaforico della parola sembrano confermare dalle distanze siderali  la consapevolezza ultima del pastore errante, certo alla fine dell’inanità inesorabile  di ogni vicenda cosmica:

LUNA

Ho scelto te tra molti in terra d’Asia,

pastori erranti, per quel tuo fissarmi

pensoso.Le parole del tuo sguardo,

che insiste su di me, sono e non sono

specchio del nostro esistere, sui volti

giocano luce ed ombra, falso e vero

si scambiano più volte. Ho scelto te

per dare infine ascolto ad una voce

d’uomo, per quell’intenso, ripetuto

tuo gesto di guardarmi, per la luce

che rifletti di me. La tue pupille,

al vertice d’un cono d’infinito,

ne trattengono immagini, il tuo cuore

resiste in un’eclisse che non cede.

 

E il senso della misura del titolo splendidamente ambivalente rivela forse che- qualunque sia la misura, umana o cosmica- non può esistere, tranne forse nello sguardo dell’uomo, posto “al vertice d’un cono d’infinito”che rovescia quell’ Aleph mirabile della mente divina che nella visione dantesca lega con amore in un volume /ciò che ne l’universo si squaterna. _______________________________________________________________________

  Il testo integrale del saggio di Ilaria Rabatti: http://www.petiteplaisance.it/ebooks/1031-1060/1047/el_1047.pdf   Il contributo di Sandra Di Vito per un’introduzione a <i> Il senso della misura </i> : http://www.literary.it/dati/literary/di_vito/di_un_cono_infinito.html



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