[Dove non parlo di me ma di cosa leggo]
La scrittura è una delle forme d’arte e creatività da me preferite. Leggere è un’aprirsi al mondo, un rinchiudersi dentro alle emozioni, estraniarsi e condividere. Apprezzo le parole ordinate, la scelta curata degli aggettivi, le virgole messe al posto giusto, la punteggiatura, l’armonia. Un bel libro, un racconto, una poesia, un saggio, deve suscitare curiosità, innovazione, ricerca della perfezione, attenzione alla grammatica, al senso logico.
La scrittura necessita tempo, aggiustamenti, ritocchi, tagli, rifiniture; si deve sentire il cesello, la fatica ed è lì che nasce il capolavoro.
Una delle ramificazioni della scrittura che maggiormente amo, da sempre, è la poesia. Mi approccio alla poesia con sentimenti puri, sempre disposta, come tra le braccia di un amante, a farmi sorprendere.
Non cerco nulla quando leggo una poesia, piuttosto mi lascio trovare, scoperta nelle mie emozioni.
La poesia è là, su di un piedistallo di perfezione, un’elegia d’incanto, una pala d’altare, un’alba dorata. La poesia è purezza, devozione, racchiusa in uno scrigno.
Così la vedo io.
Nel contemporaneo dei nostri tempi, la poesia è tutt’altro. Tutti sanno scrivere poesia, tutti ne confezionano a rime pari o dispari, tutti gettano i loro sentimenti dentro ad una scatola disarmonica di parole, nella convinzione che poesia sia puro sentire.
Tutti, tanti ne scrivono: occorre ordinarli, schedarli, racchiuderli in gruppi chiusi o farli disperdere tra gli altri?
Tempo fa seguii la manifestazione Cortili in versi ( anche sul blog Poeti d’Ombra), un manifestazione che raccoglieva diversi poeti permettendo loro di recitare i loro versi per strade e cortili. Tale manifestazione ha prodotto come coda un concorso di poesia dedicato ad uno studioso e divulgatore di poesie.
Parto da questo concorso per esprimere cosa penso. ( qui il concorso, qualora a qualcuno di voi interessasse partecipare, il tema proposto è intrigante ” Vita di quartiere” ed è aperto anche ai bambini)
C’è un proliferare di concorsi di poesia, fatevi un giro su Concorsi Letterari. net (qui il link), alcuni richiedono una quota di iscrizione, altri gratuiti, tema molto spesso libero ( è molto difficile trovare un poeta che sappia scrivere di un tema specifico – a parte l’amore, lì tutti eccellono), alcuni promettono premi in denaro, altri in gratificazione, altri in pubblicazione o personale o in un bel e-book tutti insieme appassionatamente.
Ogni regolamento porta con sé la clausola che le poesie inviate non saranno restituite e resteranno di proprietà di chi ha organizzato il concorso che nulla dovrà all’autore degli eventuali guadagni di una sua pubblicazione.
La poesia sente la necessità di essere in concorso? La poesia sente il desiderio di essere venduta ad altri per vedersi pubblicata? La poesia è pronta ad essere giudicata? E da chi poi? Quali sono questi giudici che possono mettere mani e naso tra le righe di una poesia e decidere quale sia il vincitore?
Sento dappertutto dire che la poesia è emozione pura e quindi, proprio per questa caratteristica, soggettiva. Il giudice di un concorso saprà essere invece oggettivo o si farà solo guidare dalle sue emozioni? O forse, come ormai tutto in Italia, vincerà chi conosce?
La poesia si può vendere o la si svende per una pubblicazione?
Molto meglio chi si autopubblica, perché ha il coraggio di sé, delle sue parole, e magari non venderà un libro, ma avrà conservato la dignità dei suoi pensieri e tutte le sue opere saranno sue.
Molto meglio ancora per chi, come me , legge e può scegliere ciò che ama, senza alcun condizionamento.
Chiara