(c) Maurizio Galimberti
La tenerezza di Joe infatti, era così straordinariamente proporzionata ai miei bisogni, da rendermi un bambino nelle sue mani. Sedeva e parlava con me con l’antica confidenza, l’antica semplicità, ‘antico modo conciliante e protettivo, così da farmi quasi credere che tutta la mia vita sucessiva ai giorni della vecchia cucina, fosse una delle sofferenze causatemi dalla febbre, che ora era passata. Faceva per me ogni cosa….
(da Grandi Speranze, di Charles Dickens)
Di padre
Di padre s’apprende il nome.
La mano muta nell’abbandono
Fra cancelli ancora suggellati
Su svelte scarpinate in vie di fuga.
Coraggi assediati sul costato
Fra attimi sbiaditi in pause
Al poi trarne avviso nei domani.
Di padre s’apprende il credo
La lotta avviata su strade inesplorate
Sterminate da bandiere disuguali
Ai venti primi in fila
Proni agli estuari.
S’apprende il taglio di mete andate a colpa
La piena degli imbrogli necessari
Sopra opzioni naufragate in salde sere.
Di padre s’apprende scavo.
Grinze ammansite nelle vene
Al riverbero fra occhi temperati
Su rimbombi di ricordi
Idolatrati.
S’apprende l’urlo spietato
Decantato a fierezza sopra scudi
Al tono di spettare
annuvolato
Reciso a sfascio in ghiaia.
L’aroma del tabacco
Disperso fra castagni
Come oro radiato
A crearne eclisse e svago.
Il fiato silenzioso
Usurato dentro ansie imbavagliate.
L’occhiata scalza
Sopra messe stanate da cuscini
Al gergo della fitta
Mascherata d’ornamenti.
Di padre s’apprende l’attesa.
Il polso al bordo letto
Cullante sul sarà
Come pendolo scordato.
Occhi dissolti
In calo a pelle ossuta.
Germi di gerani rispediti
Su sfide sorte a capo
Celebrate da ire in grugno a Dio
A formarne clessidre senza sabbia.
MARINA MINET (da “Le Frontiere dell’anima, Ed. Liberodiscrivere 2006)
(c) Thomas Hart Benton
Quando trovai mio padre a bocca spalancata che,
di sbiego sulla seggiola, fissava morto la televisione accesa,
e quando lo riponemmo vestito a festa,
proprio allora, già composto, infilai nel suo taschino
una fotografia di mia madre,
che già da molto sorbiva la luce tetra o
tenerella delle stelle.
Pensai: unitevi ora, che in vita
vita vi ha dispersi.
E la colazione a volere unire\riunire,
mi è rimasta come piega
o dovere o lama. O presunzione.
Quella che non vedesti, e ti apparve incompresa,
fu comprensione.
In realtà, era costernata afflizione.
GABRIELLA MALETI
Dialoghi interrotti
L’alloro staglia fronde
contro l’azzurro terso,
il vecchio pota l’olivo
come ieri.
Massiccia fissità
della montagna: qui il tempo
è infinito presente.
In questo attimo chiaro ti rivedo
piegato sulla terra
dura da dissodare, arida
da concimare, solcare, sarchiare
bassa da coltivare.
Ma il sole dorava spighe
tremava la rugiada
su teneri germogli di smeraldo
andavi in prima linea avanti l’alba
mescolando il tuo fiato con quello delle brume.
Ora che non combatti più con i rovi
nidifica la serpe tra le zolle
e non conosce ostacoli l’ortica.
Fra terra e cielo dialoghi interrotti
in una primavera sbalordita
cui soffocano palpiti gli spini.
(c) John Hedgecoe
GIOVANNA BONO MARCHETTI
Nelle mie smarrite sere
Raccontami, pà,
delle domeniche mattina,
quando per mano
mi conducevi in piazza fra giganti:
ero un pulcino senza paura
dentro i miei primi pantaloni lunghi
tenuti su con le bretelle.
Raccontami di te,
dei nonni,
del tuo paese natio…
perché non mi senta
buttato qui in mezzo senza radici.
Lasciami guardare
nei tuoi occhi stanchi
le mattine gelide
a raccogliere arance
fra le foglie inzuppate di rugiada
o i meriggi
di canicola
a mietere frumento
con la gola arsa di polvere
e il sordo grattare di cicale nella testa….
e i tuoi ritorni a casa, sempre più lenti,
per i chilometri a piedi,
dopo la fatica
eroe senza gloria e senza pretese.
Lasciami scovare
tra le pieghe della tua fronte
i pensieri amari, le preghiere mute
dei giorni con le mani in mano
a spiare il cielo
sulla soglia di casa o all’osteria,
per la pioggia di settimane,
che ti rubava il pane.
Vecchio olivo ricurvo
dalle ferite incallite,
e dai groppi di pietra,
ancora vengo a cercare la tua frescura,
il profumo di terra smossa ed erba
la risacca stanca della tua voce
nelle mie smarrite sere….
(c) Jacqueline Osborn
PAOLO SALOMONE
Ultimo canto per il padre
Vorrei parlarti, padre, in questa notte
da questa nave che batte a fatica
le tenebre e ricerca un porto vero
dopo prove d’approdi, di conati
falliti sempre d’una piuma. Intanto
scorre il vento sull’équore increspato,
grida un sottile silenzio, uccellino
di cristallo: perciò trabocca ancora
fiume di canto dagli argini della
memoria, note tristi che ravviva
l’arpa del cuore.Rivedono gli occhi
(o credono) il mare verde del grano
e viti appese a sinuose colline
sotto cieli d’infanzia – azzurri, dunque -,
solerti al ruzzo passeri e fringuelli,
il tuo volto giocondo a fatica.
Ed ora, d’oltre il cielo, sappi padre,
che questo tumido lacerto detto
cuore che garda il pianto del distacco
celato per pudore dai tuoi occhi,
quando partii, nel vento della vigna:
perenne graffio, padre, acre dolore.
PASQUALE BALESTRIERE