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Poesie del Padre – Di padre, s’attende l’attesa

Creato il 18 marzo 2015 da Met Sambiase @metsambiase
(c) Maurizio Galimberti

(c) Maurizio Galimberti

La tenerezza di Joe infatti, era così straordinariamente proporzionata ai miei bisogni, da rendermi un bambino nelle sue mani. Sedeva e parlava con me con l’antica confidenza, l’antica semplicità, ‘antico modo conciliante e protettivo, così da farmi quasi credere che tutta la mia vita sucessiva ai giorni della vecchia cucina, fosse una delle sofferenze causatemi dalla febbre, che ora era passata. Faceva per me ogni cosa….

(da Grandi Speranze, di Charles Dickens)

Di padre

Di padre s’apprende il nome.
La mano muta nell’abbandono
Fra cancelli ancora suggellati
Su svelte scarpinate in vie di fuga.
Coraggi assediati sul costato
Fra attimi sbiaditi in pause
Al poi trarne avviso nei domani.

Di padre s’apprende il credo
La lotta avviata su strade inesplorate
Sterminate da bandiere disuguali
Ai venti primi in fila
Proni agli estuari.

S’apprende il taglio di mete andate a colpa
La piena degli imbrogli necessari
Sopra opzioni naufragate in salde sere.

Di padre s’apprende scavo.
Grinze ammansite nelle vene
Al riverbero fra occhi temperati
Su rimbombi di ricordi
Idolatrati.

S’apprende l’urlo spietato
Decantato a fierezza sopra scudi
Al tono di spettare
annuvolato
Reciso a sfascio in ghiaia.

L’aroma del tabacco
Disperso fra castagni
Come oro radiato
A crearne eclisse e svago.
Il fiato silenzioso
Usurato dentro ansie imbavagliate.
L’occhiata scalza
Sopra messe stanate da cuscini
Al gergo della fitta
Mascherata d’ornamenti.

Di padre s’apprende l’attesa.
Il polso al bordo letto
Cullante sul sarà
Come pendolo scordato.
Occhi dissolti
In calo a pelle ossuta.
Germi di gerani rispediti
Su sfide sorte a capo
Celebrate da ire in grugno a Dio
A formarne clessidre senza sabbia.

MARINA MINET  (da “Le Frontiere dell’anima, Ed. Liberodiscrivere 2006)

(c) Thomas Hart Benton

(c) Thomas Hart Benton

Quando trovai mio padre a bocca spalancata che,

di sbiego sulla seggiola, fissava morto la televisione accesa,

e quando lo riponemmo vestito a festa,

proprio allora, già composto, infilai nel suo taschino

una fotografia di mia madre,

che già da molto sorbiva la luce tetra o

tenerella delle stelle.

Pensai: unitevi ora, che in vita

vita vi ha dispersi.

E la colazione a volere unire\riunire,

mi è rimasta come piega

o dovere o lama. O presunzione.

Quella che non vedesti, e ti apparve incompresa,

fu comprensione.

In realtà, era costernata afflizione.

GABRIELLA MALETI

Dialoghi interrotti 

L’alloro staglia fronde

contro l’azzurro terso,

il vecchio pota l’olivo

come ieri.

Massiccia fissità

della montagna: qui il tempo

è infinito presente.

In questo attimo chiaro ti rivedo

piegato sulla terra

dura da dissodare, arida

da concimare, solcare, sarchiare

bassa da coltivare.

Ma il sole dorava spighe

tremava la rugiada

su teneri germogli di smeraldo

andavi in prima linea avanti l’alba

mescolando il tuo fiato con quello delle brume.

Ora che non combatti più con i rovi

nidifica la serpe tra le zolle

e non conosce ostacoli l’ortica.

Fra terra e cielo dialoghi interrotti

in una primavera sbalordita

cui soffocano palpiti gli spini.

(c)  John Hedgecoe

(c) John Hedgecoe

GIOVANNA BONO MARCHETTI 

Nelle mie smarrite sere

Raccontami, pà,

delle domeniche mattina,

quando per mano

mi conducevi in piazza fra giganti:

ero un pulcino senza paura

dentro i miei primi  pantaloni lunghi

tenuti su con le bretelle.

Raccontami di te,

dei nonni,

del tuo paese natio…

perché non mi senta

buttato qui in mezzo senza radici.

Lasciami guardare

nei tuoi occhi stanchi

le mattine gelide

a raccogliere arance

fra le foglie inzuppate di rugiada

o i meriggi

di canicola

a mietere frumento

con la gola arsa di polvere

e il sordo grattare di cicale nella testa….

e i tuoi ritorni a casa, sempre più lenti,

per i chilometri a piedi,

dopo la fatica

eroe senza gloria e senza pretese.

Lasciami scovare

tra le pieghe della tua fronte

i pensieri amari, le preghiere mute

dei giorni con le mani in mano

a spiare il cielo

sulla soglia di casa o all’osteria,

per la pioggia di settimane,

che ti rubava il pane.

Vecchio olivo ricurvo

dalle ferite incallite,

e dai groppi di pietra,

ancora vengo a cercare la tua frescura,

il profumo di terra smossa ed erba

la risacca stanca della tua voce

nelle mie smarrite sere….

(c) Jacqueline Osborn

(c) Jacqueline Osborn

PAOLO SALOMONE

Ultimo canto per il padre

Vorrei parlarti, padre, in questa notte

da questa nave che batte a fatica

le tenebre e ricerca un porto vero

dopo prove d’approdi, di conati

falliti sempre d’una piuma. Intanto

scorre il vento sull’équore increspato,

grida un sottile silenzio, uccellino

di cristallo: perciò trabocca ancora

fiume di canto dagli argini della

memoria, note tristi che ravviva

l’arpa del cuore.Rivedono gli occhi

(o credono) il mare verde del grano

e viti appese a sinuose colline

sotto cieli d’infanzia – azzurri, dunque -,

solerti al ruzzo passeri e fringuelli,

il tuo volto giocondo a fatica.

Ed ora, d’oltre il cielo, sappi padre,

che questo tumido lacerto detto

cuore che garda il pianto del distacco

celato per pudore dai tuoi occhi,

quando partii, nel vento della vigna:

perenne graffio, padre, acre dolore.

PASQUALE BALESTRIERE


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