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Poesie del Padre – Il ricordo

Creato il 01 novembre 2012 da Wsf

 

Dapprincipio avevo l’intenzione di scrivere una nota critica relativa alla secolarizzazione in vece consumistica del primo novembre, Ognissanti, che da quest’anno vede l’apertura di tutti i negozi, come in un qualsiasi giorno feriale. Un’altra conquista verso la deprivazione dell’identità e  del ricordo, in voce di un (mal individuato) cosmo-mondo in cui defluiscono le scorie della tradizione per depurare la civiltà di un popolo in un unico fiume di non pensiero, un’onda regolare, asettica, che livelli tutto, su cui galleggiare in zattere fatte a forma di soldi e di consumo.

Avevo trovato l’esergo, il riferimento critico: era tutto pronto.

Poi ho cambiato idea.

Lascerò tracce dell’intenzione in questa breve introduzione, ma non avellerò con il mio pensiero critico la scelta  di trasformare i due giorni dell’anno, il cui cuore è sempre stato nei millenni, assottigliare la soglia fra i vivi e i morti, arrestare la quotidianità del fare e del perdere tempo per ascoltare i ricordi  dei propri cari, in una sterile dissertazione contro le ciniche necessità economiche di trasformare la terra dei sentimenti in un conto commerciale. Solo, fermo  un ricordo preso in prestito da Orwell, quel cavallo Boxer che non capiva le scelte dei (capi) maiali ma obbediva, al suono del suo mantra – lavorerò di più – e che alla fine della sua vita, veniva trasportato via dalla Fattoria nel carro della mattatoio comunale.

 

La scelta del giorno in cui editare l’ultima parte delle poesie del padre è quindi indicativa della volontà di ricordare il propri cari. Fermarli, trasferirli ancora in quella vita silenziosa che è la memoria, ritrovarli nel silenzio o nella confusione di una tavola con un posto in meno, o nella luce di un lumino, per chi è dotato della grazia delle fede. E’ l’eredità più pesante da accettare, l’assenza. Ma è necessaria. Ed è una grazia averla avuta.

Poesie del Padre – Il ricordo

Per mio padre

(ancora vivo e per sempre)

Nei miei gesti impazienti

che raccolgono pioggia e sfide

per i giorni a venire torni

con le scarpe sporche di cemento e sabbia, chiuso

nell’ombra volata nel marzo dove crollava il mondo

e pur se la tua voce è sempre più lontana

vivo è il tuo sonno stremato sul tavolo la sera

il capo abbandonato tra le braccia, la bambina

che attendeva  e ancora attende

che tu esca dal sonno perché tutto ritorna

e scriverlo oggi che fuori piove

e si ammollano le pietre nell’acqua

scriverlo oggi che ti so vivo

se ti rendo nel ricordo al nome

tenendo per mano la bambina

che aveva i tuoi occhi e i tuoi sorrisi sghembi

è esplodere verde di rami

è rendere amore all’amore

per chi dopo è venuto

e corre leggero, i piedini al sole.

Liliana Zinetti

*****

(sequela del padre)

1.

Nella notte del padre si contempla

il pharmakon l’olivo e il raro volto

e presso l’arco di pietra cimino

l’occhio dissecca e albeggia.

A lenimento della scala estesa,

echi dal sonno, unguenti, nello specchio

la barba incolta che vaneggia. Assedia

la casa della silente veste

mattiniera, usi d’acqua, disvela se profila

alterno fiotto oceano al dolore,

picco ad altare d’isola, foresto

al capo roccioso dei padri,

da valle moritura.

Enrico De Lea

*****

Dopo la morte di mio padre

le parole si sono ammantate di bianco

uscendo dal fango dell’ambiguità;

per un certo tempo hanno percorso soltanto

i sentieri del silenzio e dell’aridità;

sono state le voci dei volatili, introdotte

l’anno precedente dal gracidare assordante

delle rane e dei ranocchi, a ricondurre al volo

che percepisce parole, nel giardino inconsultamente e

caparbiamente reso asfissiante da Colei che

nella parola attende; cercando di forare la porta e

il Cancello che conduce agli altri Giardini, lavorando

con le mani, per prima cosa, imponendo confini secchi

alle bordure: le mani si sono infine congiunte

come guardando una battaglia che diventi arte

Patrizia Dughero

*****

Si fatica (ancora)

a sopportare il giogo del tuo vuoto

come i fardelli della minerale

passati all’assalto delle scale

mi stringo cubiti di lacrime

trapasso i vuoti negli specchi

i pettini stretti, nati dopoguerra

ombrati di nero.

Eppure il motivo per cui il verde

ancora mi appare vivo e naturale

è il ricordo dei tuoi occhi

che mi portavano bene e fortuna

- avevo un quadrifoglio io come genitore -

mentre gli inverni

non hanno più plessi di medici

mi strabilio

all’attaccarsi incessante

ai sudori del braccio di questa mosca.

Se sia la tua anima reincarnata, padre,

si rivelasse, invece di scansarsi al mio soffiare

imprecare invocare una profilassi

e ragionare sulla menzogna del perché

non trovo il coraggio

di seppellire (anc)ora finanche un insetto molesto

Meth Sambiase


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