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Poesie di Gabriella Montanari (Emilia Barbato)

Creato il 02 febbraio 2016 da Wsf

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Gabriella Montanari
(1971, Lugo di Romagna)

Laureata in lettere moderne all’Università di Bologna e diplomata in pittura presso la Scuola d’Arti Ornamentali San Giacomo di Roma, è poeta, scrittrice e fotografa. Traduttrice di poesia e narrativa dal francese e dall’inglese, collabora con riviste di critica letteraria, d’informazione e d’arte italiane e francesi.
È co-fondatrice e direttrice editoriale della casa editrice WhiteFly Press (Ravenna http://www.whiteflypress.com).
Esordisce in poesia con la raccolta Oltraggio all’ipocrisia– Prefazione di Dante Maffia (seconda classificata al Premio R. Farina, 1° Davide Rondoni, 3° Sauro Albisani) per le edizione Lepisma di Roma (2012), a cui ha fatto seguito Arsenico e nuovi versetti(La Vita Felice, Milano, 2013 – Prefazione di Lino Angiuli) e Abbecedario di una ex buona a nulla (Rupe Mutevole Edizioni, Parma, 2015 – Prefazione di Enrico Nascimbeni). Sue poesie, racconti brevi e traduzioni sono raccolte in antologie italiane e internazionali.
Attualmente vive e opera tra l’Africa (Togo) e l’Italia.

***

Da «Oltraggio all’ipocrisia», Lepisma Edizioni, Roma, 2012

ALFIVA

Il mio primo uomo è stata una bambina
di poco più giovane di me

Lei bionda, occhi verdi
ioscura
Lo stesso sangue, ma solo per metà
Piatte come tavole,
senza barba tra le gambe
già morse dalla curiosità

I nostri giochi finivano sempre così:
appartate
sotto una coperta o una capanna
le mutandine abbassate
Gli occhi persi tra le crepe del soffitto
le dita scalavano, stuzzicavano
la cosina…
la nostra,
diversa da quelle dei giornalacci buona
una bambina quasi
il taglio di una pesca noce.

“Cosa senti?”
“Non so, però è bello.”
“Sì è bello. Mi frizza.”
“Ecco anche a me, mi frizza…”
“Ah…”
“Ah…”

L’orgasmo come bollicine d’acqua gasata su per il naso
lo stesso piacere di quando si lecca la pentola della crema

Ritiravo le dita umide e odorose
e tornavavamo a giocare
come se poc’anzi
avessimo fatto sul serio
Era puro sesso
leggero e legittimo

Un maledetto giorno
sarebbe arrivato l’amore
ad appesantire tutto
E poi
la morale
e il marchese…
E poi il mal di testa
e i bambini che dormono nella stanza accanto
e a lui che non gli tira più e allora faccio da sola

Nel ricordare come lei,
senza volerlo
senza cercarlo,
faceva vibrare il bottone
penso
che nessun uomo mi ha più toccata così.

***

Da « Arsenico e nuovi versetti », La Vita Felice, Milano, 2013

PAPA

alla fermata dell’autobus
l’attesa si prolunga,
per terra c’è un profilattico esausto
e io m’interrogo sull’utilità del papa.
sì, papa con la minuscola
perché il rispetto non è grammatica

il paperone in mitria impartisce dal deposito degli orrori
inaccertabili benedizioni farcite di bocconi reazionari

i roghi sono spenti,
ma l’aria ricorda ancora l’odore stucchevole delle carni arse e resta aperta la caccia
alla strega che vuole abortire,
al prete eretico che chiede moglie,
al perverso che si accoppia contronatura,
a quella diavoleria di lattice che ostacola l’epidemia

il capobranco e la muta di cani in gonnella
terrorizzano le pecore ingozzate di paure e colpe,
abbindolate con promesse eteree,
impalpabili,
pronte a esplodere come dogmi di sapone

in verità vi dico…
la domenica mattina è fatta per dormire
e non per lo shopping al Supermarket del Buon Pastore
tirati a festa, con in tasca la lista dei peccati

il paradiso è un morso in un tartufo d’Alba
il purgatorio, il risveglio dopo una sbornia
l’inferno, il frigo vuoto

la giustizia
ce la siamo giocata in eterno

dio – o chi ne fa le veci
è affar mio
affar nostro
affare di donne e uomini in croce
in cerca di pace.

***

Da « Abbecedario di una ex buona a nulla », Rupe Mutevole Edizioni, Parma, 2015
Q – QUINTESSENZA

(farmacopea della maternità)

Cullata dalle benzodiazepine, inciampo in un sonno chimico che vìola la verginità dei sogni. Doppia dose, doppia nebbia.
I gatti onirici hanno teste grosse e mani di ragazza, mi accarezzano il mento fino a scioglierlo.
Le colline dell’infanzia hanno le mutandine calate al polpaccio.
Mio padre muto sta urlando, mia madre ride di pianto, in forno brucia la cena affettiva e io rimbalzo dal seggiolone alla bara, con un findus in bocca.
Il salone è vuoto come un nervo devitalizzato, i silenzi dormono nei cartoni del trasloco da chissà quale altra vita.
Le vecchie con la dentiera inamidata siedono fuori in strada, annoiano la notte con le loro nenie stemperate di malocchi e deccessi di catarro.
Nei miei sogni non nevica mai, non desidero uomini biondi, non ritrovo sul comodino quel molare ceduto in cambio di liquirizia.
Il sipario è grigio incerto, il pubblico lancia epiteti e pane raffermo, io me la svigno dall’uscita d’insicurezza.
Il mattino è antidepressivo, anti caffè solubile, anti-apriti- giorno.
Solo il bacio canaglia di mia figlia ha il principio attivo d’inevitabile vita.

***

Da « SI CHIUDE DA SÉ », raccolta inedita, 2016

*

tutta questa pazienza lanciata e il mulinello che neanche ci spera…
il cielo galleggia al largo, sopra un letto di stagnola a milioni di piazze,
l’alice abbocca per pietà e l’usura del mio corpo si fa complice degli sgarbi dell’amo.
non pioverà. non tornerai coi tuoi sacchi arruffati di parole. virgole. parole.
attendo lo stupro dei ricci senza vergogna, amanti del succo di limone
e come un oriente mi apro ai noccioli di dattero.
immagina, guarda, questo è il piacere che non mi sai più dare.
il taglio scaleno della rupe ammorba l’orizzonte che ci aprì la cella, ma il maledetto,
il tramonto, odora ancora di costole, maiali e glicini in caduta libera.


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