veins_by_laura_makabresku
Nasciamo per sottrazione
Nasciamo per sottrazione
e nella vita procediamo
sottraendo – sempre
fra le incognite dove tutto scorre.
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Ho sempre vissuto nelle pietre
Ho sempre vissuto nelle pietre
sul fiume ancorato a queste mura
nella sconfitta arresa di lotte alterne armate
estese agli angoli
sui punti intrecciati delle braccia
come costellazioni arrese alla notte.
Nella tasca più nascosta
conservo la ruvidezza di te
del fiume raccolto in noi
e l’odore di grano e cotone in fiore
mentre il sapone porta via
la terra strappata alle unghie
e ogni altro sé.
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Ritornerò a maggio
Ritornerò a maggio
nella casa di mio padre
inflessibile e asciutta negli occhi
nell’affilare continuo
di mani strette nelle tasche
sotto il vento che conosce
nomi e cognomi
sulle lettere variate
nell’ordine dodecafonico
della tua bocca.
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Notte di petrolio
Scoprirci nella notte
con mani di petrolio
e piume intrecciate sul molo
come cefali interrati
nell’ingordigia dei gatti
sulle fauci agitate
selvagge di onde
pronte a scaraventarci
sugli scogli aguzzi dove
un giorno torneremo.
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Oltre lo specchio
Ho visto un’ombra
scendere in silenzio
innalzarsi senza volto
nella bolla uterina
di uccelli rossi in agonia
seguire il volo
la traiettoria dei liberi
sognando cieli, oltre
lo specchio d’acqua;
che di silenzi non si muore
ci si riempie.
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Una città in fiamme
Voglio una città in fiamme ogni sera
a cui offrire da bere negli angoli
e gocce di veleno sulle labbra
e un grembo caldo in cui sostare
un lungo cordone ombelicale dove soffocare la notte
e i suoni del mondo intorno e dentro
come un’orchestra sempre accesa
una città di umori e abbracci caldi
pronta a donarsi in ogni dove
senza labbra da sostituire
e palmi morbidi senza vesciche
accucciati nelle tasche.
Voglio una città piegata in due
che mi ricordi la bellezza di tutto ciò
e la tragedia rimboccata nel buio
di questa città che muore, lì
sotto le mie mani.
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Ce l’hanno chiesto così spesso
Ce l’hanno chiesto così spesso
e tutto ciò risuona come allora
nella risposta: “Restiamo qui”
cogliamo l’attimo la virgola il punto
ché a nulla serve trattenere il fiato
contare i passi l’assenza il tempo
di questo lento divorare.
Ce l’hanno chiesto troppe volte
e noi vi rispondiamo ancora
restiamo qui nell’acqua fonda
in quell’assiduo nominare i fatti
le cose e le persone col loro nome
rinviando soltanto un poco il giorno
in cui non ci verrà più chiesto nulla.
Ksenja Laginja (Genova, 1981), impegnata nella ricerca poetica e delle sue contaminazioni in campo musicale e visivo. La sua ricerca artistica attraversa il disegno, la scrittura e la performance. Alcuni dei suoi testi sono presenti su Antologie poetiche e riviste cartacee e online. Con le sue opere ha partecipato a esposizioni personali e collettive. | www.ksenjalaginja.com