oh lettere da svolgere fra i denti
come se stanchi
scendemmo dai monti
così ci accoglie dei poeti
il dire senza intenti.
E’ con piacere che introduco con questi versi, tratti da “Rapido blè (Un’edizione U.M.E. 2003) la poesia di Ugo Magnanti, scelti perché il “dire senza intenti” è una definizione pregnante di poesia. Dove, tuttavia, quel senza intenti non va considerato come dichiarazione di superficialità o vuoto non senso, ma credo vi si debba ravvisare la consapevolezza del poeta di lavorare “gratis” e con gratitudine, di offrire il frutto del proprio sguardo senza aspettarsi di ricevere nulla in cambio e probabilmente senza la presunzione che quel che si scrive possa cambiare il mondo. Argomento su cui tanto si è detto e contraddetto, anche se ritengo che la poesia sia parte del bene che tiene su il mondo.
“mi tramuto/ in ciò che mi sbarra l’orizzonte”, altri versi estremamente significativi perché è vero che il poeta nell’atto di fare poesia si trasforma nelle cose che limitano l’azione umana, lo sguardo umano, si trasforma in esse per superarle, per oltrepassarle e guardare oltre, ma anche per sentirne addosso, sulla pelle e nel sangue tutto il peso, la verità che le cose portano con sé; le cose così come gli esseri umani. Attraverso il linguaggio e nel linguaggio il poeta subisce una metamorfosi che lo porta ad identificarsi con quanto è oggetto della sua indagine poetica. In questo mi sembra risieda pure il fatto che nella poesia di Ugo Magnanti c’è spazio anche per l’aspetto ludico del linguaggio, per il divertirsi giocando con le parole. Un gioco che tuttavia, come tutti i giochi, ha delle regole e nel caso di Ugo Magnanti sono riflesso di una realtà interiore che non sempre è facile chiarire, decodificare neanche a se stessi. E la poesia è un tentativo in questa direzione. Un procedere nell’acquisizione di una sempre maggiore consapevolezza di sé e del mondo che ci circonda. Già consapevole il poeta che la poesia è “un dono difficile”, come dice in un verso della plaquette “Poesie del santo che non sei” (Edizioni Akkuaria, 2009).
da Rapido Blè
che cosa insegno
della luna inerte
del misero
come del colpevole
del mio nome
che dagli altri apprendo?
è con un bacio
che spiegherei
lo strazio e il tempo
***
oh luce
che scendi sulla strage
insonne
sulle carlinghe aperte
o sulle baite sciatte
che scendi
in ciò che è ardente
in ciò che tesse
in ciò che abbatte il neo
oh luce
che scaldi il sangue mite
ma non illumini le nude sorti
***
solo un ardore
che sale
ci ingombra
con la cieca salvezza del buio
con un dono triste
con un crepitio che filtra e taglia
questo fuoco d’ombra
portiamo un peso
che non abbiamo scelto
che ancora ci inondi
dai valli assolati
sognai
sognò di me
una voce assorta
la stessa che ascolto
mentre guardo
riflettersi anche in te
i miei connotati
così lividi nell’estate
che pure un volto fanno
assente
di un oriundo all’erta
con quegli occhi lustri
e quelle grame membra
così mi avverte
col desiderio del suo gelo
e della sua virtù
la poesia da questo volto
come su un’urna un cielo
***
ora tace
la stalla senza bestia
non la consola
il nodo appena sciolto
la luce scossa
o l’ombra stolida
di altri occhi
che non uccidemmo
in sogno
non è una piaga senza morte
non sono perle gelide che getto
al gelo imbelle di uno stagno
è solo un cosmo che mi apre
che una stella attende
***
la starna vive
la starna s’intana
o se agonizza
altro non sa
alla pena di un bivio
langue la scena
sul diametro
travolto dai tapiri
in balìa
di una vita sgombra
di un solo tranello
mentre sfavilla e muta
un’altra vita incauta
il nodo
che lasci fare alla capra
e non tagli ora
si aggroviglia
da Poesie del santo che non sei
La porta di casa si è aperta e chiusa,
sola, ignara, toccata da un destino,
e il pudore delle pareti ti è
venuto incontro: ma è un dono difficile
da accogliere, che ancora ti riporta
al giorno in cui ti rasentò lo scandalo.
***
Di fronte alla parola scimmia fai una
faccia, di fronte alla parola rosa,
un’altra faccia: non ti offende il foglio
candido sul tavolo: dunque scrivi
scimmia e scrivi rosa, e altri lemmi sciocchi
che non devi contendere a nessuno.
Basterebbe però soltanto un pezzo
di pane sotto la città isolata,
o una tanica di nafta da stringere
per farti fare la faccia che hai da fare,
e così smarrire il nome che ti manca:
l’iroso rovescio di scimmia e di rosa.
***
Ugo Magnanti ha pubblicato la raccolta “Rapido blé”, le plaquette “20 risacche”, pubblicata anche dall’“Archivio Barocco”, bollettino dell’Università di Parma, e “Poesie del santo che non sei”. È presente con la la sezione “Barlumi di un’America intuita da un’Italia” nell’antologia “Perle sciolte” (Bel-Ami), e con la sezione “Cantati distici” nell’antologia “Chi semina versi” (Pertronicware).