Ieri chinata sul tuo letto,
inerme il corpo riposava,
dormiva come eterna carezza
sotto la luna e la veglia
di chi vive per un battito
ancora.
È adagio che parla il cuore,
impavido sotto
la pelle scura
e cerca la tua mano
madre mia
a sostener quel palpito
che ancora ti fa mia.
E tutto quel che canta
è l’ora,
schiava derisa dall’anima
che freme il viaggio,
eppure li riempie
i nostri occhi e la mia mano,
che dissetata dalla tua,
trema,
perché la morte affamata
e a bassa voce,
alita,
ed io ventre del tuo ventre,
sempre figlia anche mentre muori, esco,
e la luna brilla dopo che
ha vegliato tutto il giorno e a patire il tuo esilio, io resto,
sospesa senza madre, vago.