In mezzo a tanta sciatteria, vedo improvvisamente avvampare un falò di capelli. Scosto un paio di scimmie radunatesi attorno a me, scolo un altro sorso di rimedio alla noia e saltello rapidamente verso quello che è ormai un vero e proprio incendio. Oscene prolessi disegnano nella mia mente scenari scoperecci e mi ritrovo a slalomare tra tanti coriacei nemici del buon gusto. La gravità, sorniona e beffarda, smette di esercitare la sua legge sul mio corpo, così mi ritrovo ben presto fuori dall’atmosfera, a gravitare attorno a pianeti che mi battono i loro satelliti sulle spalle per arrestare la mia orbita. Un Plutone qualsiasi mi getta sul sagrato della chiesa, agitando il sacrilego dito davanti al mio naso adunco. Con uno solo dei miei sguardi vedo frontalmente il casus belli: il vestito della sua concubina piange lacrime di birra e il sultano esige viril vendetta. Acchiappo un coccio di silicio, traccio un segmento orizzontale sulla mia fronte, poi uno verticale che lo interseca al centro, dispongo i miei artigli a mo’ di coppa e gli faccio dono votivo del rosso vitale. «Eccoti il mio sangue e togliti dai globi», dico alzandomi. Torno sulla Terra, agognando frammenti di lucidità. Né panoramiche né telescopi né raggi X mi aiutano a ritrovare le tracce del sovrumano fuoco che inseguo. Fossi iscritto alla P2 potrei chiedere l’aiuto dei miei sodali. No, non devo sviare, percorrerò secoli di pensiero critico altre notti, non questa. Inchiodo la mia volatilità a una croce di pragmatismo e finalmente scorgo esili tracce di fumo. La luna adesso mi sorride lasciva, apre la bocca e con la lingua mima… Sempre inopportuna ‘sta palla di formaggio! Appoggio il naso a terra, profittando del mio olfatto da segugio. Tra stivali proditori e cicche cospiratrici rintraccio l’alveo dei suoi cinerei passi. La piazza è solo una bambagia di miasmi ma nonostante tutto torreggia il più ancestrale degli odori: l’umore seduttivo dell’Amore. Mi arresto basito, sorprendendomi sul come un probabile groviglio carnale sia già transustanziato in una sicura unione di anime. E poi, succede. Son io a diventare la meta della mia futura metà. Il falò dei suoi capelli adesso danza sull’acquitrino delle mie pupille estatiche. Mi servo della telepatia per comunicarle le mia astrusità, troppo glabro per proferire alcun tipo di linguaggio. Lei di rimando esibisce la lindezza della sua intera chiostra dentaria. Ricambio mostrandole l’integrità dei miei polpacci. Ci pieghiamo entrambi, lei per vomitare risate, io arachidi e vino. Facce color malva mi barellano dentro una spelonca, accoccolandomi in un angolo nero. Smarrisco, in ordine, vista, udito, gusto, tatto e quando anche l’ultimo dei sensi sta per lasciarmi vengo battezzato da spruzzi d’acqua fredda, lanciate da mani che si sostituiscono con protervia all’aspersorio. “Risus abbondat in orus stultorum” declamo con solennità, sperando che il latino sia sufficiente a placare le ire del prete proteso su di me. Non è un ministro di Dio, è qualcuno di più divino, è proprio Lei e il suo falò di capelli brilla come una fiamma dell’Inferno. Fa sfoggio nuovamente della salubrità dei suoi denti, mi accarezza molle il viso, poi poggia l’indice sul mio occhio destro e il medio su quello sinistro per chiuderli con uno scatto. Io sproloquio citando testi negazionisti e mi fermo solo quando lei palesa una strana forma di dislalia prolungando il suono di una s, accompagnata da una h. Adesso mi sento pizzicare sulla mano, sembra che stia vergandomi grafemi sul dorso. Quando termina alza le dita che mi occludevano la vista. Sbatto le ciglia come un cerbiatto, direzionandole verso l’arto appena macchiato. Vi sono scarabocchiati dei numeri e sotto delle lettere. Un lampo presciente mi fulmina: è un terno da giocare al lotto, con l’indicazione della ruota! Lei porge la bocca verso i miei capelli, forse per suggere qualche pidocchio, li inumidisce con un bacio, fa una giravolta e ancheggia via, verso altri angelici lidi. E io posso allora scivolare nell’oblio…
«Ehi, amico, sveglia … sveglia … SVEGLIAAAA!!!»
«…Mh… Mmh…»
«Buongiorno dolcezza! Alla buon’ora, stiamo per chiudere.»
«Ma…»
«Niente domande, ascolta soltanto. Hai dormito un paio di ore nel mio pub, tranquillo. La tua nottata immagino sia avvolta nella nebbia etilica, eri uno straccio quando ti hanno portato qui. Ti do solo un indizio, il più importante, per cercare di ricordare: guardati la mano destra e parti da lì. Il resto, se è destino, verrà da sé.»
«Ma che cazzo…»
«La mano, Cristo!»
«Mph, va bene. Allora: 3405577357. Il falò.»