Magazine Cultura

Poesie e Racconti #30 – Blackout

Creato il 10 luglio 2012 da Dietrolequinte @DlqMagazine

una immagine di Immagine tratta dal film Doppia vita 1947 di George Cukor 620x469 su Poesie e Racconti #30   Blackout

Le luci cominciano a darmi alla testa. Non che non ci sia abituato, eh… Ma oggi no, oggi mi buttano giù. Sono le sette di sera e non ho pranzato; se tutto va bene, cenerò tra cinque, sei ore.

Dicono che il teatro estranei dalla realtà, o qualcosa del genere. Per quanto mi riguarda, troppe ore qua dentro mi intontiscono e basta. Quando esco da questa scatola buia, a malapena mi ricordo il nome della via in cui mi trovo. Che sensazione stupida.

«Stasera ci sarà il pienone. Non facciamo figure.»

Mirko mi guarda con quel suo solito grugno. Controlla sempre tutto, lui; e controlla me, ha paura che combini qualche casino. Ma io, il mio lavoro lo so fare bene. Ho sempre tutto in pugno, bastano pochi movimenti della mano. Ma devono essere attenti e arrivare al momento esatto, non un secondo prima, non un secondo dopo.

«Sta’ tranquillo. Filerà tutto liscio come l’olio.»

Mirko sparisce dietro una delle tante porte segrete di questo posto, per fare i suoi giri d’ispezione; a volte penso che avrebbe dovuto fare il poliziotto. Così rimango solo nella mia cabina asfissiante, in maniche corte, quando fuori la temperatura è di dieci gradi sotto lo zero. Sono costretto a vivere dentro a questa assurdità per guadagnare qualcosa.

Se Mirko fosse diventato poliziotto, avrebbe avuto a che fare con cose reali, concrete, al posto di questi fantocci che fanno la loro farsa per tutto il tempo, più volte. Mi sembrano così innaturali, così finti.

«Stella dov’è? Qualcuno l’ha vista?»

Il regista Marini riempie la platea con una voce rimbombante. I suoi pupazzi sono tutti occupati a fare altro. Incredibile, è come se recitassero anche quando devono solo respirare o al limite sbuffare. E lui, il primo attore, il più fantoccio di tutti, se ne sta comodo sul divano di scena, per farsi ammirare dalle poltrone vuote. L’idiota.

«Adesso arriverà…»

Muove la mano come se stesse accarezzando l’aria e lentamente la riposa sul bracciolo. Tutto questo meriterebbe un applauso.

«Pensavo fosse la migliore…»

«Ma lo è.»

L’idiota ghigna e prende ad accarezzarsi i capelli, sospirando.

Ecco, adesso potrei puntare su di lui l’occhio di bue e lasciare totalmente in ombra quel povero omone del regista, immobilizzandolo nella sua agitazione. Ma l’altro, così calmo, merita tutta l’attenzione di questo pubblico inesistente che da un momento all’altro si aspetta il grande colpo di scena, la battuta che disintegra la quarta parete. Non afferro il senso, non l’afferrerò mai.

Il regista mi fa dei segni e capisco che mi sta chiedendo di pazientare. Ma certo, tanto non ho nient’altro da fare e voi vi siete dimenticati della vita là fuori. Faccio il mio lavoro fino in fondo, sono qui per questo. Il mio lavoro.

Il mio lavoro è vero, a differenza di tutto questo marchingegno fasullo. Le luci che si accendono e si spengono con precisione cristallina, le luci che si dissolvono come fumo, le luci che si alternano come i tasti di un pianoforte premuti seguendo il filo di una melodia… Questo è reale. Non capirò mai niente dal teatro, ma nemmeno ci tengo.

Tic, tac, tic… I suoi tacchi. È arrivata. Ed è divina.

Tutti i pupazzi buttati sul palco alzano gli occhi su di lei. Si vede che sono innervositi – io lo vedo – ma stavolta non riescono a fingere più di tanto. Lei è una di quelle che ti lasciano senza fiato anche quando sei sul punto di urlare e non ce la fai più, non so se rendo l’idea. Prima di scendere le scale si gira verso di me e mi fissa per qualche secondo attraverso quegli occhi verdi ombrati dal rimmel. Sta per dirmi qualcosa, ma forse è solo un’impressione, perché riprende subito la sua falcata leggera scuotendo i capelli infuocati. Deve appoggiarsi al corrimano, barcolla leggermente.

«Era ora!»

Marini si è ripreso dallo stordimento, o almeno vuole farlo credere. Lei gli passa accanto senza dire nulla e poi sale sul palco. L’idiota le sorride e la invita a sedersi accanto a lui. Non sento parlare lei, forse non parla proprio, ma lo guarda per un attimo; poi si china, gli afferra la testa con una mano e lo bacia con forza, con una forza animalesca. E se ne va, barcollante, uscendo dall’ultima quinta. Alcuni fantocci applaudono, il regista esplode.

«Possiamo cominciare? Allora, chi è di scena? Voglio l’ultimo dialogo nel salotto, avanti, chi è di scena!»

Da dietro risuona la risata di Stella, una cosa da far venire i brividi. Questa non è nel copione, non c’è mai stata.

Mirko è tornato.

«Ma l’hai vista la Spitzer? Hai visto in che stato è?»

Dico che non mi sembra tanto diversa dal solito. Lui è allibito.

«Ma come, te ne stai qui tutto il tempo a guardare, e non vedi cosa ti passa davanti?»

«Ho visto solo che ha la gonna più corta del solito, tutto qui.»

Mirko sgrana gli occhi.

«Quella si è fatta di qualcosa, amico, te lo dico io! C’è da stare attenti.»

Proprio non ce la faccio ad assecondare questa sua insulsa tensione.

Vedo l’idiota che si massaggia la mascella, non troppo compiaciuto del bacio appena ricevuto. Non so, è strano, sembra… Spaventato?

Stella torna sul palco, si può fare la prova. Due rivoli di nero le colano per le guance rosse. È giusto così, nell’ultima scena deve piangere. Luci soffuse. Stella fa i suoi movimenti da ubriaca, come da copione, trascinandosi come un peso morto fino al divano. Ha un sorriso terrificante.

«Oggi è più brava del solito, no?»

Mirko mi guarda sconcertato. La scena va avanti, perfetta, fino alla pugnalata che la protagonista si dà sotto gli occhi dell’amante. Stella cade e muore molto meglio, rispetto a tutte le altre prove. Marini è soddisfatto, Mirko continua a scuotere la testa.

«Mi faccio un giro.»

Ed esce.

La sera della prima è particolare. Non dico che sia emozionante, per me non lo è, ma è particolare il modo in cui ti entra in circolo quell’adrenalina che respiri nell’aria. I fantocci inquinano l’ambiente con i loro riti scaramantici, i loro sibili e il loro sudore, e non resta altro da fare che riempirsi i polmoni di tutto questo.

«Dieci minuti.»

Mirko non si è calmato nemmeno un po’, dalle prove generali.

«Va’ ad avvisare nei camerini, sto qua io.»

Esco dalla porta segreta e attraverso un percorso più o meno tortuoso arrivo ai camerini. Vengo assalito da profumi, fruscii e voci.

«Dieci minuti.»

L’idiota mi passa davanti, o meglio, mi calpesta. Credo che non mi abbia proprio visto, non si è nemmeno accorto della mia presenza… Ha lo sguardo perso nel vuoto e ancora non se ne è andato quell’aspetto spaventato di prima. Una delle altre attricette si avvicina a lui e gli cinge la vita con un braccio, sorridendo maliziosamente. Lui sembra rilassarsi un po’.

Faccio per tornarmene nel mio buco, quando un singhiozzo soffocato risuona dalla porta semichiusa di Stella Spitzer.

Non so perché lo faccio, ma entro. Lei è seduta davanti allo specchio, stringe in una mano una piccola bottiglia che fino a poco fa doveva essere piena, scruta l’immagine di quel suo volto rigato di lacrime.

«Che bastardo… Che bastardo…»

Lo ripete come una cantilena, senza muovere un muscolo, concentrandosi sul suo viso. Non credo mi abbia sentito. Vedo che l’altra mano prende tremante qualcosa dal cassetto. È un coltello. Il coltello di scena.

«Cosa faccio… Cosa faccio…»

Fa ruotare lentamente quel coltello, una lentezza estenuante, e lo guarda da tutte le parti. Un altro singhiozzo.

«Signorina Spitzer…»

Poi, succede. Il coltello le cade di mano e risuona, metallico.

Lei mi fissa inorridita. Ma poi tutta la sua persona si piega in una smorfia implorante.

«Aiuto…»

Capisco tutto e scappo via.

Lo spettacolo deve cominciare. Ma Stella Spitzer è un’alcolizzata. Stella Spitzer è un’alcolizzata depressa. Stella Spitzer è un’alcolizzata depressa e userà un coltello vero per ammazzarsi. Cadrà bellissima in una pozza di sangue.

Lo spettacolo si farà. E ne diventerò protagonista.

«Tutto bene?»

Mirko mi scruta, indagatore.

«Sì. Certo. Cinque minuti.»

Le due ore che seguono non passano più. Sento il mio respiro sempre più irregolare, la maglietta è appiccicata alla schiena per l’eccessivo sudore.

«Sei sicuro di stare bene?»

«Sì. Mi sto solo concentrando.»

Mirko osserva accanto a me i fantocci che vanno verso la fine del loro dramma.

Sono tutti ignari e solo io ho capito tutto.

Ultima scena. Luci soffuse. Stella entra, ubriaca, in lacrime. Tutto perfetto. L’idiota la guarda. È spaventato.

«Mirko…»

«Che c’è?»

«È tutta una finzione?»

«Cosa…?»

«Dico, questa, è tutta una finzione? Ne sei sicuro?»

«Ma che dici, certo! Ma tu sei fuori… Tu non stai bene… Hai la febbre? Ehi, stai male?»

Stella tira fuori il coltello, con un movimento brusco. Rivolge lo sguardo alla platea, e poi in alto, a me. Sì, sta guardando proprio me.

Sono più veloce di lei. Rapido, spengo tutto. Cala il buio sull’intero teatro.

Dalla platea si alza un rumore assordante. Poi un urlo.

«Ma cos’è successo? Cos’hai fatto? COS’HAI FATTO?!?»

Mirko accende una luce d’emergenza. Intravedo dei movimenti sul palco.

In un attimo è di nuovo tutto illuminato.

E vedo con orrore l’idiota bellissimo in una pozza di sangue, mentre una risata terrificante risuona da dietro.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :