Sono sceso in strada e ho sentito un odore di morte. Non di putrefazione, muffa, stantìo… Ma il gelo della morte ho inalato, quel gelo penetrante che ti immobilizza dalla paura. Le persone che mi passavano accanto, le persone normali, dico, sembravano non accorgersi di nulla. Ho ammirato nel terrore questa loro indifferenza così cupa che mi estraniava da tutto.
Adesso che me ne sto qui, seduto sulla panchina più logora di un parco addormentato, ripenso alle parole della mia ragazza ieri sera: «Tu vivi solo per te stesso. E a me non sta più bene». È lì che ho cominciato a morire, quando ho assorbito sussultando il rumore secco della porta che si richiudeva dietro di lei, mentre se ne andava? Tutto ciò che so è che adesso qualcosa deve accadere. Perché più sto fermo, più il gelo mi paralizza.
Ho dormito poco e male. Ricordo di aver preso delle gocce, senza contarle, senza nemmeno vederle posarsi realmente sul fondo del bicchiere. Mi sono svegliato all’improvviso, ero in un bagno di sudore. E lei non c’era… Dov’era, lei?
Forse quel sonno sarebbe stato un sonno di morte, se non mi fossi svegliato.
Voglio fumare, ma ho le tasche vuote. Mi avvicino a un ragazzo dagli occhi spenti che tiene in mano una sigaretta. Gliene chiedo una, non mi risponde. Non alza nemmeno la testa. Glielo ripeto, più forte. Niente. Indietreggio, allibito. Tutto questo non ha senso.
Ora cammino col capo chino, svelto. Poi alzo gli occhi e la vedo: mi sta venendo incontro, è abbracciata a un uomo, o meglio, è lui a tenerla stretta a sé, non la lascia andare, segue il movimento dei suoi occhi e delle sue labbra, e controlla la strada, come se fosse pericolosa, non per sé, ma per lei. La rabbia sale, la sento dentro le narici e sulla punta delle dita, ma non riesco a lanciarmi contro quello schifoso. Sono indolenzito. Lei mi passa accanto, avverto il suo profumo sfiorarmi la pelle. Non mi guarda, forse nemmeno mi vede.
Non può essere vero, niente di tutto questo può essere vero. Eppure il mio corpo lo percepisco, non sto sognando. Striscio contro un muro, ci sbatto un po’ la testa contro. Fa male, ma sono sempre qua.
Mi accorgo all’improvviso di non stare bene con me stesso. Ho un estremo bisogno di relazionarmi con qualcuno. Voglio guardarmi allo specchio, devo verificare di essere davvero io a muovermi in queste strade. Voglio capire, disperatamente.
Accade una cosa incredibile. Non riesco a scorgere il mio riflesso nelle vetrine dei negozi o nei vetri delle auto… Sembra tutto così opaco…
Sto impazzendo.
Mi butto a terra urlando come un dannato. Piango di rabbia.
Comincia a piovere, la gente accelera il passo. Sempre più forti, le gocce, e in un attimo sono già fradicio. Una pozzanghera si è formata a pochi passi da me.
Striscio verso quella superficie. E vedo lei passare di nuovo, con i tacchi alti traballanti verso di me. Cerco di aggrapparmi al suo vestito.
Cado con la faccia nella pozzanghera e vengo calpestato.