Charlot agli Uffizi.
La civiltà contemporanea ci porta al massacro. La violenza incrudelisce e fa impazzire il mondo, come dimostra il terrore isterico che suscita la bomba atomica. Solo se si tolgono i veli alla realtà, si può forse fare ancora qualcosa di utile per il mondo. Dopo essere stato per trent’anni un onesto impiegato di banca, la crisi lo ha gettato sul lastrico. Un certo tipo di democrazia ha ormai fatto il suo tempo, perché non permette a un individuo con famiglia di vivere liberamente ed onestamente. (Meditazione dalla febbre dell’oro a monsieur Verdoux di: Charles Chaplin).
I N M O R T E D E L L’ O R O
Il tiranno è caduto sorgete,
Genti oppresse; natura respira!
-Vincenzo Monti-
De profundis! nel Lenzuolo
Giace avvolto il fier Golia,
Che dall’uno all’altro polo
Tenne il mondo in sua balìa!
De’ metalli il Monsieur Roux,
De profundis! Non è più.
Non è più l’Olanda e il Belgio
Gli cantarono l’esequie;
E noi pur sull’auree ceneri
Invochiamo e pace e requie!
Or che al mondo più non è,
Requie e pace al Re dei Re.
Banchieri messi a lutto
Sono accorsi al funerale;
Chiuse a chiave dappertutto,
Delle Borse l’ampie sale
Portan scritto sul portone
PER LA MORTE DEL PADRONE.
Pover’oro! Nella polvere
Il destino t’ha travolto;
Profanato fu il tuo tempio,
Il tuo altare capovolto;
Come il figlio del delitto,
Sei dannato, sei proscritto,
Come Giove, dal tuo trono
Sei tu pur precipitato,
Sei rimasto in abbandono
Come un cencio inzaccherato,
Sei bandito dal frasario,
Del moderno dizionario.
Che affar d’oro! Sui mercati
Si gridava l’altro dì;
Or quei tempi son mutati,
Non si parla più così,
Ma piuttosto dir si de’:
Oh che affar d’argent plaquè!
Che aureo cuore, che aureo giovine!
Mi dicevan tempo fa:
Se mi danno ancor dell’aureo,
Monto in bestia come va:
Si può dir con più ragione
Oh che cuore di pakfone!
Del pensier l’ala dorata
Gorgheggiò qualche poeta:
Ma che diavolo! In giornata
L’è una frase troppo vieta;
D’ora in poi ‘l pensier del vate
Dovrà aver l’ali stagnate.
Sogni d’oro, un tempo fu,
Sognavamo tutti noi;
Ma quel tempo non è più:
L’oro è morto e d’indi in poi
Le vision della giornata
Son di carta monetata.
Californici Giasoni,
Che tosate il vello d’oro,
Non sciupate da minchioni
E le forbici e il lavoro:
Ritornate ai vostri lidi,
Californici Oricidi.
Non sapete che quaggiù
Del decrepito metallo
Non vogliam saperne più?
Che un dì o l’altro senza fallo
Per tre o quattro caratani
S’avrà un mucchio di sovrani?
Che cuccagna! di zecchini
avrem piene le scarselle;
Colle doppie i birichini
Giocheranno alle piastrelle,
E i luigi le funzioni
Sosterranno dei bottoni.
Che cuccagna! Vi prometto
Che fra quattro o cinque mesi
Avrem d’or lo scaldaletto,
Le marmitte… ed altri arnesi:
Dio nol voglia, per la strada
Sputerem sull’oro-spada.
Nuovi Mida, al nostro tocco
Come zucchero filato;
Per due prese di tabacco
Noi ne avremo pieno un sacco.
D’ora innanzi in un contratto
Leggeremo a chiare note:
”L’acquirente assume il patto
Di pagare in Banconote;
sia in moneta, o greggio, o fuso,
Già s’intende, l’oro escluso.”
Ora poi che il grande Autocrata
Dell’Impero minerale
Vive solo nelle pagine
Della storia naturale,
Qual metallo verrà assunto
Allo scettro del defunto?
Come spesso nasce il caso
Nelle gran rivoluzioni
Che alla barba di chi ha naso
Vanno a galla i più minchioni,
Vedrem forse ai primi stalli
I più sciocchi dei metalli.
C’è Sempronio che pretende
Che l’argento abbia il primato;
Tizio invece (già s’intende
Che il mio Tizio è un impiegato)
Vuol sul trono dell’ex-oro
I biglietti del tesoro.
Io non sto, ve l’assicuro,
né con quello né con questo;
Ma, spiando nel futuro,
Son per dir che tardi o presto
Il metallo prediletto
Sarà il piombo – e ci scommetto.
-Arnaldo Fusinato-
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