di Elena Chiti
Ci sono poesie di reclusione che sono anche poesie d’amore. O di non-amore. È il caso delle due poesie di Faraj Bayraqdar – poeta siriano originario di Homs a lungo detenuto nelle carceri del regime – che traduco qui sotto.
Esse meritano un posto a parte tra le poesie dal carcere di questo poeta siriano, riunite nella raccolta Anqâd (“Rovine”) appena pubblicata dall’editore libanese al-Jadîd e di cui ho già tradotto per SiriaLibano altri versi.
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Passi (Titolo originale: Khutuwât)
Anni sui carboni ardenti
ma ora lui va da lei.
Anni sui carboni ardenti
ma ora lei viene a lui.
Risuonano i passi nel mio cuore
si avvicinano
si avvicinano ancora
ancora
poi…
oh noooo!
uno supera
l’altra.
Carcere di Sednaya, 1993
***
Desiderio remoto (Titolo originale: Hanîn ba‘îd)
Occhi
grandi da singhiozzare
bocca
a forma di o
e con il suo significato
fianchi
di estasi e protezione
capelli
sul punto di dire:
è la tempesta che ci ha scompigliato
piedi tremanti
sull’erba di un misterioso piacere
è una donna
ma anche il colmo del lampo
sono un uomo
ma anche il colmo dell’accecamento
non la conosco
lei non conosce me
e supponi ora
che io mi trovi nella cella più distante
e lei nella cella adiacente.
Carcere di Sednaya, 1994