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Polifemo in Sicilia : “Nessuno” trova lavoro

Creato il 09 ottobre 2010 da Italianiaparigi
Polifemo in Sicilia : “Nessuno” trova lavoro

Polifemo in Sicilia : "Nessuno" trova lavoro

Cari lettori del blog,
Ho il grande piacere di condividere con voi un mio articolo da “italiano a Parigi” pubblicato su Focus In di questo mese…spero vi piaccia.

Il mio volo atterra puntuale all’aeroporto Falcone-Borsellino di Palermo e appena sceso dall’aereo la canicola estiva mi avvolge. Un accogliente caldo soffocante, intriso di gelsomino e zagara, mi riporta alle estati della mia infanzia. Dolci profumi familiari giungono alle mie narici, intervallati da ventate di un fetore nauseabondo che mi obbligano a chiudere i finestrini della mia auto. Cataste di rifiuti sono sparse dappertutto ai bordi delle strade : “La discarica di Bellolampo è satura” mi dice mio padre “e aspettando che l’amministrazione trovi una soluzione dobbiamo sopportare questa situazione”. La gente, da quanto ne deduco, sembra aver accettato passivamente l’invasione pestilenziale dell’immondizia e ha imparato a conviverci.
Il mio pensiero vola immediatamente a Parigi e allo spirito combattivo e intransigente dei francesi che in una situazione simile avrebbero scioperato e manifestato per giorni e giorni paralizzando l’intero Paese. Avevo dimenticato il fatalismo italiano che fa rapidamente diventare normalità anche le situazioni piú assurde ; la mia visione delle cose è ormai formattata alla maniera “esagonale” e non riesco piú a tollerare situazioni che un tempo avrei lasciato passare. Motivato dal mio spirito vacanziero, cerco di dimenticare il mio arrivo agrodolce nel Belpaese e chiamo qualche amico per organizzare un’uscita. Ci ritroviamo la sera stessa davanti ad una pizza fumante a parlare dei giorni spensierati trascorsi insieme. Finalmente una vera pizza italiana con ingredienti freschi e genuini che cancella di colpo le mediocri imitazioni propinatemi nelle pseudo-pizzerie di Parigi. I sapori mediterranei e l’affetto dei miei amici mi riscaldano il cuore e mi fanno dimenticare lo sbalzo culturale e la diversità che separa i due Paesi. Il piacevole momento che sto vivendo mi fa pensare che, tutto sommato, si sta bene anche in Italia e che avrei dovuto pensarci meglio prima di fare fagotto e partire per la Francia.
Tuttavia il mio slancio nostalgico non dura molto e le mie idiosincrasie si risvegliano rapidamente quando l’argomento della conversazione diventa il lavoro. I miei amici sono curiosi di sapere cosa faccio a Parigi per vivere e mi bombardano di domande sul mercato del lavoro in Francia e sulle condizioni lavorative. Rispondo con piacere a tutte le loro domande colorando di sfumature esotiche le mie spiegazioni e cercando di citare esempi chiari e di facile comprensione. Cala il gelo quando rispondo ad uno dei presenti che mi chiede quale sia la forma contrattuale che mi lega attualmente al mio datore di lavoro. Faccio mente locale e mi rendo conto che l’acronimo “CDI” da me utilizzato non è comprensibile a chi non ha mai vissuto in Francia (ma ormai anche il mio modo di esprimermi è influenzato dall’universo francese e tendo ad abbreviare tutto) e tento di argomentare meglio la mia risposta spiegando che si tratta di un “contratto a tempo indeterminato”. La risposta sembra non aver placato lo stupore dei miei amici che continuano a fissarmi con gli occhi spalancati e pretendono maggiori delucidazioni.
Nel tentativo di chiarificare ulteriormente la mia situazione lavorativa, aggiungo che non si tratta del primo “CDI” che ottengo ma che nel corso dei sette anni trascorsi a Parigi ne ho collezionati parecchi.
A quel punto la tensione nella tavola è palpabile e nel silenzio irrompe la vocina timida del mio vicino di posto che mi chiede se ho veramente detto “indeterminato”. Confermo la mia risposta e spiego che a Parigi è la forma contrattuale piú utilizzata in quanto garantisce, in uguale maniera, il lavoratore (che gode di una garanzia contrattuale fondamentale) e il datore di lavoro (che può contare su una collaborazione a lungo termine). La tavolata è in fermento e tutti mi guardano come se mi fosse spuntato un occhio in mezzo alla fronte. Alessandro, il mio migliore amico, mi spiega lo sconcerto degli altri commensali : “Sai Gaspare” mi dice con rammarico “da quando sei partito, la situazione lavorativa non è cambiata e le garanzie contrattuali restano scarse. Lavoro interinale, lavoro a progetto, lavoro a chiamata e soprattutto tanto lavoro in nero…questi sono i contratti che ci propongono qui. Il tuo CDI resta solo un’utopia per noi. I datori di lavoro non pensano a come garantirsi a lungo la tua presenza ma cercano piuttosto di sbarazzarsi facilmente di te. Qui pensano tutti a fregare il prossimo !”. L’imbarazzo mi invade l’anima e divento rosso come il peperone che condisce la mia pizza ; come ho potuto dimenticare il precariato che affligge l’Italia e parlare di “tempo indeterminato” come se fosse una cosa normale ? Cosa mi è passato per la testa ? Ancora una volta ho dimenticato che, nonostante poche ore di viaggio separino i due Paesi, differenze abissali li allontanano inesorabilmente. La serata termina in questo modo e mi congedo con una grande amarezza. Scosso dalla conversazione che ho appena avuto con i miei amici, pago la mia parte di conto e intasco il resto.
Sono rattristato soprattutto per i termini utilizzati dal mio migliore amico, Alessandro, per spiegarmi lo stupore che le mie parole avevano destato : quanta disillusione e quanto fatalismo nel suo “Qui pensano tutti a fregare il prossimo !”. Nella strada del ritorno rimango assorto nei miei pensieri e rifletto a lungo sulla discussione della serata ; giungo alla conclusione che i miei amici si sbagliano e che non tutti vogliono fregare il prossimo. Cerco di autoconvincermi che la loro è una visione eccessivamente pessimistica e fatalista dovuta al fatto che non hanno viaggiato abbastanza. Gli italiani non possono essere così egoisti ! Decido di prendere un caffé prima di rientrare. Gusto l’aroma intenso del buon caffé italiano e dimentico rapidamente le divagazioni mentali della serata. Metto una mano in tasca per recuperare il resto della pizzeria e pagare il caffè e mi accorgo che il cassiere mi ha rifilato le vecchie “500 lire” al posto di una moneta da due euro.



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