Politica e poetica del caviale

Creato il 20 marzo 2012 da Faustodesiderio

Ostriche, caviale, champagne, vino, formaggi, spigole, spigoloni, gamberi, gamberoni, scampi, ostriche imperiali, noci bianche, cozze pelose, seppioline, astici, calamari, polipi, frittura di paranza, baccalà, merluzzo, alici, aragoste, orate, vongole, peperoni, spaghetti, spaghettini, antipastini, prosciutto, salame, salmone, involtini, straccetti, braciole, bistecche, cotolette, maiale, agnello, agnellone e insalata di rinforzo, che non si sa mai, e insalata russa. Pasticceria napoletana e siciliana, frutta esotica e macedonia. Sembra la lista della spesa per un cenone di fine anno o una pagina di Domenico Rea, invece, è cronaca politica. “Il mio punto debole sono i frutti di mare”, ha detto Michele Emiliano, sindaco di Bari, che compare, pur non essendo coinvolto ed indagato, nelle carte dell’inchiesta giudiziaria sul Comune di Bari che ha al centro il costruttore ed ex consigliere regionale del Pd Gerardo Degennaro che nel 2007 donò un luculliano e pantagruelico pacco di Natale al primo cittadino barese. Oggi il sindaco, ex pubblico ministero, dice: “Avrei dovuto rimandare indietro quel pacco”. Avrebbe. Ma la gola è un po’ come il cuore: è difficile darle ordini. E allora se l’è mangiato.

Lo sa molto bene anche l’ex tesoriere della Margherita, il senatore Luigi Lusi, che ha il suo punto debole nel caviale. Lo sa molto bene anche Massimo Riccioli, 58 anni, che non è un ex tesoriere, né un senatore bensì  uno degli chef italiani più famosi e da qualche tempo fa il pendolare con Londra, dividendosi tra un nuovo ristorante vicino a Trafalgar e lo storico «La Rosetta» al Pantheon, aperto nel 1966 da papà Carmelo. Il giornalista Ernesto Menicucci lo ha sentito per il Corriere della Sera per farsi raccontare bene la storia, che evidentemente sembrava una leggenda, degli spaghettini al caviale pagati solo 180 euro. Al ristorante del Pantheon  il tesoriere della Margherita ha consumato una parte dei soldi del partito e, appunto, i famosi spaghettini al caviale da 180 euro al piatto e i due antipasti pagati 200 euro. Il cuoco, di cui Totò in Miseria e nobiltà raccomandava il matrimonio perché “un cuoco in famiglia fa sempre comodo”, ha detto la sua: “Il Beluga sta a cinquemila euro al chilo… Ne mettiamo 20-25 grammi a porzione”. Lusi se lo ricorda? “Come no. È venuto diverse volte”. Caviale, ostriche, vini pregiati. Una buona forchetta. Gli antipasti da 100 euro l’uno? “Sono dieci assaggini – dice il cuoco – con crudi, cotti, marinati”. Sedie rosse, tovaglie bianche, una rosellina su ognuna: ci si sono seduti  – ricostruisce Ernesto Menicucci –  Bettino Craxi e Gianni Agnelli, Marcello Mastroianni e Eduardo De Filippo, Giorgio de Chirico e Amintore Fanfani, Renato Guttuso e Alberto Sordi, Mario Schifano e Ettore Scola. Una sera capitò Diego Armando Maradona e fu Champagne a fiumi. E poi stelle di Hollywood (Johnny Depp, Woody Allen, Brian De Palma, Russell Crowe), attori nostrani (Massimo Ghini, Amanda Sandrelli), grandi del calcio (Fabio Capello, Adriano Galliani). E tantissimi politici, Gianfranco Fini, Renato Schifani, Ignazio La Russa, Roberto Maroni, Massimo D’ Alema. Si sono affacciati anche i sindaci, Walter Veltroni prima, Gianni Alemanno ora. Ma Lusi è un’altra cosa: “Il vero scandalo sono i soldi che i politici guadagnano, non che se li mangino. E noi non chiediamo certo il 740”. Si limitano a portare loro il menù e il conto. Ma qui lo scandalo interessa relativamente. Qui interessa il caviale: “Lo faceva pesare con la bilancina”. Qui bisogna immaginare la scena: il cameriere che pesa, mette e toglie, ma non certo per motivi di prezzo. C’è tutto un rituale. Sarà stata una pura questione di gusto o di palato o di megalomania, di certo non sarà stata una questione di buongusto. I prezzi per il tesoriere non avevano importanza, se no che tesoriere era? Lusi non mangiava, più che altro degustava: “Abbiamo un menù degustazione a 130 euro, a pranzo uno da 50. E usiamo prodotti di assoluta qualità”. Roba sceltissima, presa alle aste di Anzio, Fiumicino, Civitavecchia: 90 euro al chilo l’aragosta, 70 gli scampi, 45 le spigole e le orate. I ricarichi? 220 euro per aragoste e scampi, 110 il pesce: ma bisogna contare la cucina e il servizio.

Ostriche, caviale e champagne. Non so a voi, ma a me sembra tutto molto pacchiano. Lo scandalo c’è, non c’è dubbio. Michele Emiliano non è indagato, va bene. La sua, secondo la sua versione, è solo una debolezza e “non mi dimetto per un po’ di pesce”. D’accordo. Ma resta il fatto che il sindaco di Bari è un moralizzatore e aspira persino ad essere un leader nazionale per rappresentare il Mezzogiorno in Italia e in Europa. Le cozze, le spigole, le ostriche e lo champagne che cosa c’entrano? Ha detto: “Il prossimo cenone solo verdura”. Ma no, che c’entra. Il prossimo cenone può essere ancora più succulento e pregiato, l’importante è che la tavola sia imbandita con i suoi soldi e non coi i regali degli imprenditori amici che vincono gare al Comune. Tutto qua. Ma al di là degli aspetti politici, morali e legali, ciò che qui conta di più sono gli aspetti culinari e gastronomici. Mangiare ostriche al cenone di Natale è da raffinati o da cafoni?

La stessa domanda vale per quel tesoro di Luigi Lusi. A due passi da Palazzo Madama c’è il ristorante “La Rosetta” e lì Lusi faceva misurare il caviale con la bilancina e vi condiva gli spaghetti. E’ scontato dire che c’è una “questione morale”. I pubblici ministeri accusano Lusi di aver sottratto alle casse della Margherita ben 20 milioni di euro. La magistratura indaga su aerei, alberghi, ristoranti, vacanze. Il tutto, condito con il caviale, vi sembra una “questione morale”? Per esserlo avremmo bisogno del bene e del male, ma le raffinatezze gastronomiche di Lusi sono al di qua del bene e del male. La sua è una “questione estetica”. Il senatore Lusi sembra un personaggio del Satyricon di Petronio o, se volete, potrebbe essere il Gastone di Petrolini. Oddio, avendolo visto in televisione non sembra averne il fisico. Troppo tondo, troppo robusto mentre Gas è più magro e ha un altro stile e conosce l’autoironia e soprattutto è nobilmente squattrinato. L’estetica del senatore Lusi non conosce la vita bella ma la bella vita che diventa subito brutta perché è fatta con i soldi del partito che il partito ha ricevuto dallo Stato che li ha presi dalle nostre tasse.

La poetica del caviale, delle ostriche e dello champagne è triste. Ti dà l’idea di un mondo sentito solo con la pancia. Anche qui: la pancia è importante e le viscere vanno salvate dalla condanna filosofica che vuole il corpo come il carcere dell’anima. Ma sia Lusi sia Emiliano sembrano avere un po’ troppo stomaco e il pelo non sembra essere solo sulle cozze del pacco natalizio. La prima vittima è proprio la pancia. La virtù gastronomica è offesa con pietanze e portate da anni Sessanta. Il caviale e le ostriche sembrano venir fuori da un film felliniano sulla vita dolce di via Veneto, ma il sindaco e il senatore sembrano più Totò e Peppino, con la sola eccezione del paltò con pelliccia al collo che non hanno bisogno di farsi prestare da amici danarosi e gaudenti. C’è qualcosa di provinciale in queste storie in cui il mondo finisce in un’ostrica.

Roberto Formigoni, in altre faccende affaccendato, ma non dissimili da queste, ha chiesto un dibattito pubblico contro l’illegalità. Nientemeno. Ne verremo mai fuori. Sembra uno di quei dibattiti pubblici dopo la proiezione del film. Roba da cineforum. Inoltre, quanti anni sono che si fanno dibattiti pubblici sulla illegalità, il furto, la corruzione, la concussione e, insomma, la sparizione e spartizione di soldi pubblici? La Legalità sembra diventata una santa. La Santa Legalità. Tutti la invocano. Tutti la violano. Invece, non sarà il caso di fare un dibattito pubblico e privato sull’estetica intesa come stile di vita ritirata e morigerata al fine di evitare la cafonaggine e la pacchianeria? E’ vero che “signori si nasce” ma qualcosa lo si può anche imparare e acquisire strada facendo. Il buongusto, le buone maniere, l’eleganza, la gentilezza, le buone maniere hanno un che di naturale ma anche l’arte vuole la sua parte e persino l’animo un po’ triviale dei politici può arricchirsi con “virtute e conoscenza” e grazie e decoro invece che con soldi. Gli spiriti gentili tengono a distanza il danaro come se fosse cosa volgare e anche quando si siedono a tavola inclinano più verso la “cucina povera”, che è sempre più saporita, che verso la nouvelle cousine e le prelibatezze ricercate che sono insapore. Il vero dibattito pubblico da fare, dunque, non è quello sull’illegalità bensì questo sull’estetica del deputato e del politico in genere che non sa più stare al mondo e sembra uscito da un film di Boldi e De Sica (il figlio, naturalmente, che pure mi sta simpatico). Per campare il politico ha bisogno di soldi a palate ma anche con i milioni a sua disposizione non riesce a mettere su una vita inimitabile, piuttosto solo una vita seriale e vuota dove il bell’Arturo sarebbe un modello di avvedutezza e signorilità.

Anche a mangiare ci vuole stile e sapienza. Anzi, il vero signore si vede proprio a tavola: la compostezza, la disinvoltura e il distacco dalle pietanze. Ostriche, caviale e champagne più che pietanze sono status symbol che mostrano uno stato sociale cafone. Il Totò  – ancora lui -  di Miseria e nobiltà che, sorpreso dal padrone di casa in piedi sulla tavola mentre arraffa gli spaghetti con le pani dalla zuppiera ancora fumante, comincia a ballare e dice “niente, non abbiamo fame e facciamo quattro salti” ha stile e signorilità mentre gli spaghettini al caviale da 180 euro al piatto con i soldi di partito sono di una miseria e tristezza inarrivabile. Dalle parti di via Giulia c’è una locanda dove servono degli ottimi bucatini all’amatriciana: un piatto abbondante e sugoso che quando avete finito potete ripulire per bene con il pane e la classica scarpetta. Non è vero che la scarpetta non si fa, che non sta bene. Si fa e sta bene, l’importante è farla bene e con il pane con la crosta bruciacchiata. E se vi sorprendono mentre vi leccate i baffi, beh, saltate sul tavolo e dite “niente, non abbiamo fame e facciamo quattro salti”. Sempre meglio che pesare il caviale con la bilancina.

tratto da Liberal del 20 marzo 2012



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