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Politica estera: Albano a Mosca, Letta a Washington

Creato il 18 ottobre 2013 da Albertocapece

President Obama meets Italian PM Letta in the Oval OfficeAnna Lombroso per il Simplicissimus

Ieri i viaggi della speranza dell’Italia all’estero avevano come meta le due vecchie usuali superpotenze ormai largamente spodestate: Mosca, dove si sono esibiti Albano e Romina, Pupo e Toto Cotugno davanti a una folla in delirio  e Washington dove si è prodotto un Letta trepido e vibrante come una collegiale al ballo di fine anno per conquistarsi il favore di Obama.

Ci vuole una bella faccia tosta per titolare, come fa oggi la nostra stampa: Letta promosso, Italia nella giusta direzione con le riforme, dando credito all’ennesima stantia liturgia,  al consueto teatrino di grandi e piccoli, quando è evidente a qualsiasi bambino e anche a Tremonti che l’appoggio di Obama va a una strategia – sempre che vogliamo chiamare così   la penosa ostensione di decisionismo, l’abborracciato accumulo di azioni contraddittorie, la strampalata giostra onomastica per indicare nuove esose tasse – che rappresenta l’esemplare ed esatto  contrario della politica del presidente Usa, modesta e cauta applicazione delle teorie keynesiane, nella tardiva consapevolezza che in tempi di crisi il peggio che si può fare è regredire, adottare politiche di austerità, deprimere, demoralizzare.

Obama non a caso dà la sua paterna a uno che aumenta i ticket, abbatte i consumi, svende i beni dello stato, impoverisce il welfare, aiuta le banche, penalizza i risparmiatori, con il “successo” di un rapporto deficit/Pil maggiore del 3% e un debito pubblico ben al di sopra del 130%. Si addice ad una inguaribile mentalità coloniale guardare  all’Italia come al caso di studio di una nazione che in una ventina d’anni è passata dalla condizione e dal credito mondiale di Paese florido, creativo, dinamico a quella di stanco parassita di se stesso, che alimenta un terzo mondo interno, povero di iniziativa, crescita e diritti. A lui, come ad Angela coronata da nuove larghe intese, interessa estendere la geografia dei loro territori di scorrerie, incrementare le loro campagne acquisti, allargare i bacini di nuove servitù, incuranti di perdere quelli di golosi consumatori, indifferenti che il mare di Capri sia sempre meno blu, i palazzi sempre più delabrèe, le tinte dei quadri più pallide, le auto meno innovative, le menti più spente, che così costano meno.

Il vero paradosso, ormai appartenente al filone dell’umorismo demenziale, è che la consacrazione, i riconoscimenti, Letta come Monti prima, vanno a cercarseli dove è nata la crisi, dove ha avuto la dichiarazione Doc, dove anche un bambino lo sa e perfino Tremonti, si è verificata quella mutazione forse suicida del capitalismo,  nata con la liberalizzazione dei movimenti di capitali e l’ascesa della finanza, che ha decretato la fine dell’economia reale, producendo nuove disuguaglianze sempre più profonde  e mettendo a rischio la tenuta democratica delle nazioni. Da là è partito quel processo che ha reso la maggior parte degli Stati occidentali   ostaggio dei mercati finanziari, pronti ad accanirsi anche tramite i loro scagnozzi del rating, che ha penalizzato anche  il settore privato, che annienta le piccole e medie imprese mentre introduce una aberrante mutazione nelle grandi imprese disinteressate a produrre per investire gran parte dei loro profitti nel settore finanziario, dove si ottengono profitti facili e superiori a quelli del settore reale.

Obama lo sa bene, lo sa anche la Merkel, l’ha saputo la Grecia, dovrebbe saperlo soprattutto Letta, che l’accondiscendenza degli Usa o le arie da maestrina della Cancelliera, insomma la protezione dei pretesi alleati altro non nasconde se non la determinazione  di imporre agli “amici” una politica propagandata come virtuosa ma studiata per indebolire il partner al fine migliorare la propria condizione. A questo sono mirati i documenti, i protocolli, le linee guida di Banca Mondiale e Fondo Monetario che i governi dei paesi in via di sviluppo, ma ormai anche i  “nuovi terzi mondi” sono tenuti a adottare quali che siano i loro arcobaleni o monocolori politici.  E che altro non sono che la più consolidata espressione del cosiddetto Washington Consensus, quello scenario di sudditanza masochista e svendita dissennata, che ha goduto di egemonia planetaria  e che oggi, in profonda crisi di consenso, si sviluppa con l’autoritaria sospensione tecnica della politica, della sovranità e della vita democratica dei paesi.

Ma Letta e il suo Governo fingono di non sapere, non vedono, il loro sguardo è fisso alla scialuppa personale che li salverà da quella stabilità che ci sta trascinando tutti nell’inarrestabile declino.


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