L’assessore Luigi Marattin lo vedete nella foto a sinistra e basta l’immagine per comprendere quanti grandi fratelli ci siano a monte del personaggio, così come molte ruote della fortuna per il sindaco di Firenze. E tuttavia la reazione triviale, omofoba, del fedelissimo di Matteo sconcerta per la sua gratuità e futilità, visto che non si misura sul tema ma costituisce un semplice vaffanculo. Poi dicono di Grillo. Sconcerta, ma a pensarci bene è proprio il tema del blairismo, della resa al pensiero unico e alla sua longa manus economica, il cuore del renzismo, tocca un nervo scoperto sul quale i fedeli del sindachino vorrebbero calare una velo di silenzio, specie dopo la famosa cena milanese con il gotha della finanza.
Non è un mistero che Renzi faccia del blairismo radicale , un suo cavallo di battaglia, anzi diciamo pure una sorta di trompe l’oeil per rimanere nel campo della sinistra pur essendo portatore di mentalità e idee ultraconservatrici alla Berlusconi e persino oltre. Proprio il blairismo – sul cui fallimento mezza letteratura politologica e storiografica si trova d’accordo – è l’architrave su cui si regge l’ambiguità di un progetto al quale Renzi presta faccia ed animus, ma che è scritto a più mani, a volte visibili, altre volte invisibili. Leggiamo: “mi sono riconosciuto in quei riferimenti espliciti alla rivoluzione blairiana e non escludo che, anche per questo, alla fine alle primarie potrei scegliere di votare proprio per il sindaco di Firenze”. Chi lo dice? Un illustre rappresentante del Pd bresciano il cui nome è illuminante: Alfredo Bazoli, nipote del gran capo di Banca Intesa e presente alla famosa cena come suo rappresentante. Già, la rivoluzione di due decenni fa che ha dato come risultato governi di destra in tutta Europa e la predominanza della stessa a Bruxelles. Chapeau, verrebbe da dire.
E’ una semplice introduzione, perché l’idea stessa di dare la scalata al partito da posizioni più serie rispetto al giochino della rottamazione, inaugurato alla Leopolda, nasce tra il 24 e il 30 maggio scorsi con due incontri fra il sindaco e Tony Blair in persona. Il primo avviene prima nelle pieghe di un meeting organizzato dalla J P Morgan a Palazzo Corsini, presenti oltre ai pezzi grossi della banca, i ministri Passera e Grilli, Ursula Gertrud von der Leyen, ministro tedesco del Lavoro e Affari sociali , Stephen A. Schwarzman ceo di Blackstone, Enrico Cucchiani, ceo di Intesa Sanpaolo, Marco Patuano, amministratore delegato di Telecom Italia. Il secondo è un tete a tete fra Renzi e Blair all’hotel St. Regis di piazza Ognissanti, un pranzo (probabilmente pagato da noi) dopo il quale Blair fa sapere che si è parlato di primarie e di aver chiesto delucidazioni in merito alla partecipazione del sindaco. In pratica un endorsement che fa capire come a Renzi non sarebbero mancati né gli appoggi, né le risorse.
Qualche tempo dopo, a quadro evidentemente già definito, Le Monde Géo&Politique esce con uno strano articolo che illumina molte cose. Nel titolo azzarda un “Renzi Le Tony Blair italien”. Ma in realtà si tratta di uno sfottò perché nel pezzo si dice: “Il a le visage poupin d’un Paul McCartney période Rubber Soul, mais il se rêve Tony Blair”: è un modo per far capire al lettore che esiste una concreta costellazione di potere per puntare misteriosamente su un poupin che appare “Ambiguo e un po’ machiavellico”, ma che “È riuscito a far passare in secondo piano il confronto sulle idee riducendo il dibattito a un conflitto tra vecchi e giovani nel PD”.
Ecco perché non bisogna toccargli Blair e nemmeno Banca Intesa a quanto pare: se lo fate sarete mandati a fanculo. Perché Tony, l’uomo dell’Irak, non è solo una sindone politica, ma anche l’uomo chiave per capire le indicazioni della mappa del tesoro.