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Politiche per il rilancio dell’economia italiana

Creato il 18 aprile 2013 da Sviluppofelice @sviluppofelice

Abbiamo rivolto ad alcuni economisti questa domanda: Quali sono i 5 o 6 provvedimenti principali che possono rilanciare la crescita e L’OCCUPAZIONE PRODUTTIVA in Italia?   - Dopo Paolo Pini e Marcello Messori risponde Paolo Pettenati. Prossimamente risponderanno anche Vera Negri Zamagni, Adriano Giannola, Lilia Costabile, Stefano Zamagni.

Risponde Paolo PettenatiUniversità Politecnica delle Marche

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Per rilanciare l’economia italiana è indispensabile in via preliminare una riforma del sistema elettorale e/o istituzionale che consenta al Paese di esprimere un governo stabile e autorevole.

Obbiettivo primario del governo dovrà essere l’aumento della competitività del sistema economico per evitare che l’auspicata crescita del PIL si traduca in disavanzi della bilancia commerciale e quindi in un insostenibile aggravio dell’indebitamento con l’estero. A tal fine è necessario superare la sterile contrapposizione tra politiche della domanda e politiche dell’offerta: l’esperienza storica internazionale insegna, infatti, che ambedue le lame della forbice marshalliana sono indispensabili per tagliare il nodo gordiano che frena la crescita.

Dovendo scegliere cinque interventi prioritari, suggerisco i seguenti, anche in base al grado di consenso che potrebbero trovare tra le forze politiche e sociali:

  1.  Pagamento dei debiti delle Pubbliche Amministrazioni – Sbloccando in tempi rapidi 48 miliardi di euro, pari al 3% del PIL, si potrebbe arginare il fallimento di molte imprese in crisi di liquidità, rilanciare gli investimenti ed evitare, pur nel rispetto dei vincoli dell’UE, che anche il 2013 sia un anno di recessione.
  2. Valorizzazione e parziale cessione del patrimonio pubblico – Creando uno o più Fondi per una gestione efficiente e la valorizzazione del patrimonio mobiliare e immobiliare dello Stato, si potrebbe facilitarne la quotazione sui mercati finanziari e quindi la graduale e parziale alienazione al fine di contenere l’aumento del debito pubblico dovuto al punto precedente.
  3. Ristrutturazione e ricapitalizzazione del settore bancario – In Italia le sofferenze bancarie in rapporto agli impieghi sono notevolmente cresciute dal 2009 e questo ha determinato un credit crunch, ossia un forte razionamento del credito alle imprese. La conseguente crisi di queste ultime ha a sua volta aggravato le difficoltà delle banche. Per evitare questo circolo vizioso si potrebbe seguire l’esempio della Spagna che, dopo aver chiesto all’UE e al FMI un aiuto  straordinario per le banche in crisi, ha creato una bad bank, ossia una società che ha rilevato a prezzi ridotti i crediti in stato di insolvenza o di sofferenza del sistema bancario, dando in cambio titoli garantiti dallo Stato, utilizzabili come collaterale per i prestiti della BCE.  
  4. Avviamento professionale dei giovani – Uno degli aspetti più gravi della crisi italiana è rappresentato dal grande “disagio” giovanile, indicato dall’alto tasso di disoccupazione, dall’elevato numero di giovani NEET (not in employment, education or training), dall’abnorme percentuale di abbandoni scolastici e universitari. I giovani in Italia non sono aiutati dal settore pubblico, in particolare dalla scuola, a costruirsi un progetto di vita. Al sistema scolastico e universitario andrebbe invece assegnato il compito di completare la formazione professionale degli studenti con il loro diretto  inserimento nel mondo del lavoro al termine di ogni ciclo d’istruzione. L’ultimo anno della scuola secondaria superiore dovrebbe assumere, secondo l’esempio francese, un carattere preparatorio con due percorsi alternativi: a) avviamento professionale; b) orientamento universitario. Il primo percorso dovrebbe includere un tirocinio e, al suo termine, un contratto di apprendistato. Il secondo percorso dovrebbe invece essere differenziato in base al tipo di corso di laurea prescelto. In modo analogo, agli studenti universitari dovrebbe essere offerta, all’ultimo anno del corso di laurea triennale, la possibilità di scelta tra un percorso professionale concordato con le imprese e un percorso di preparazione alla laurea magistrale. Anche quest’ultima dovrebbe infine concludersi con un contratto di apprendistato.
  5. Rete di centri universitari per l’innovazione e il trasferimento tecnologico – E’ noto che l’Italia, rispetto agli altri paesi industriali, ma anche a molti paesi emergenti, ha un tasso molto basso di innovazione, soprattutto di prodotto. Questo è in gran parte dovuto al numero limitato di grandi imprese in grado di effettuare gli investimenti richiesti per la ricerca, lo sviluppo dei prodotti e l’internazionalizzazione. Da qui deriva anche il basso livello della produttività rispetto, per rimanere in Europa, alla  Germania e alla Francia. Per di più negli ultimi venti anni la posizione dell’Italia è notevolmente peggiorata. Per consentire alle piccole e medie imprese di accedere all’innovazione e alle nuove tecnologie si potrebbe formare una rete di centri di ricerca universitari e di altri centri di eccellenza pubblici e privati, per favorire lo scambio di informazioni ed il trasferimento tecnologico alle imprese secondo metodologie già ampiamente sperimentate all’estero. Dal lato della domanda, le imprese, organizzate ad esempio dalle Camere di commercio o dalle associazioni di categoria, potrebbero commissionare progetti di ricerca ai centri della rete contribuendo al finanziamento dei progetti stessi e delle borse di studio di dottorato.

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