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In attesa dell'uscita in Italia del film che la stessa Satrapi ha sceneggiato e girato insieme al fidato Vincent Paronnaud (con cui aveva già realizzato Persepolis) utilizzando questa volta attori in carne e ossa piuttosto che l'animazione delle sue tavole, mi sono portata un po' avanti leggendo la graphic novel da cui questo film è tratto.
Io sono tra coloro che non avevano letto Persepolis, ma che - grazie alla versione cinematografica - si sono innamorate del tratto essenziale e potente della Satrapi e del suo modo di raccontare la storia e la società iraniana mescolandola con i suoi ricordi personali e le vicende della sua famiglia.
Nel caso di Pollo alle prugne l'idea di fondo è simile: siamo sempre nell'ambito dei ricordi familiari, si ruota sempre intorno a quel momento cruciale della storia dell'Iran in cui tutto è cambiato (il colpo di stato del 1953). In questo caso, però, il tono è del tutto intimista e il punto di vista è tutto interno al protagonista, Nasser Ali Khan, un musicista di tar che, dopo che la moglie gli ha rotto il suo prezioso strumento, non trova più piacere e significato nella sua esistenza e decide di lasciarsi morire.
Dal punto di vista narrativo, la struttura di Pollo alle prugne è molto interessante, sostanzialmente circolare in quanto le prime tavole saranno richiamate nelle ultime, consentendo al cerchio di chiudersi e a molte domande di trovare risposta. All'interno di questo cerchio, il racconto è solo apparentemente cronologico (dal momento che descrive gli ultimi 8 giorni del musicista) visto che la sequenza dei giorni è soltanto una scusa per aprire più o meno brevi flashback e flashforward, che gettano luce sulla vita di quest'uomo, sulla sua famiglia, sui suoi affetti, sul dolore delle scelte, sugli errori di valutazione.
Il minimalismo grafico della Satrapi, unito alla sua ironia pungente e alla sottotrama drammatica e quasi dolorosa del racconto, fa di Pollo alle prugne un romanzo non certo dirompente come Persepolis, ma che si insinua delicatamente sotto la pelle.
Forse più difficile da comprendere ed apprezzare fino in fondo per noi occidentali (a me per esempio il protagonista ha fatto - in qualche modo - antipatia, più che compassione), ma certamente una conferma - se mai ce ne fosse stato bisogno - del talento della Satrapi.
Voto: 3/5
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