Dal 24 settembre scorso a Milano, nelle sale del piano terra di Palazzo Reale, a pochi passi dal Duomo, l’arte americana di metà Novecento la fa da padrona con i suoi schizzi, le sue tele usate e abusate, l’apparente casualità che cela in sé i germogli di una vera e propria rivoluzione. Parliamo della mostra Pollock e gli Irascibili – La scuola di New York, realizzata a cura di Carter E. Foster e Luca Beatrice. L’esposizione, promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano e prodotta da Palazzo Reale, Arthemisia Group e 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE, in collaborazione con il Whitney Museum di New York, rimarrà aperta fino al prossimo 16 febbraio. Ai non esperti che scelgono di accettare la sfida dei curatori e decidono di visitare la mostra, la prima domanda che sorge ancor prima di varcare l’ingresso è: perché irascibili? Ed è proprio dalla risposta a questo quesito che il visitatore può ricevere la chiave di lettura fondamentale per aprire la porta che dà sull’universo dell’astrattismo newyorchese. L’arcano, però, è presto svelato da un video, che si trova a catalizzare l’attenzione della prima sala. Proiettata su uno schermo bianco, viene data allo spettatore la possibilità di seguire passo passo – parola dopo parola – la protesta che il gruppo di artisti che ruotava intorno alla figura di Jackson Pollock inscenò contro la direzione del MoMA (Museum of Modern Art) di New York, per denunciare il conservatorismo che regolava il mondo dell’arte americano.
In una lettera rivolta al presidente del MoMA, Roland L. Redmond, infatti, Jackson Pollock, Willem de Kooning, Mark Rothko, Barnett Newman, Robert Motherwell, Adolph Gottlieb, William Baziotes, James Brooks, Bradley Walker Tomlin, Jimmy Ernst, Ad Reinhardt, Richard Pousette-Dart, Theodoros Stamos, Clyfford Still e Hedda Sterne annunciarono la decisione di boicottare l’esposizione che da lì a breve il museo newyorchese avrebbe organizzato sull’arte contemporanea americana. I motivi che portano il gruppo a rinunciare alla presentazione delle proprie opere erano chiari: il movimento culturale statunitense – inteso come l’insieme delle figure che avevano un ruolo “politico” nel guidare il mondo dell’arte figurativa – non era pronto ad accogliere i loro lavori, perché come detto arroccato su posizioni antitetiche a quelle perseguite da Pollock e gli altri. Fu dunque successivamente a questo episodio che il gruppo venne etichettato come “gli irascibili” (la definizione fu coniata dal quotidiano Herald Tribune), espressione che portò una indubbia fortuna oltre ad una facilitazione nell’ottica di affermare la caratura avanguardistica delle loro opere. Spostati gli occhi dallo schermo alle pareti della sala, il visitatore avrà la possibilità di imbattersi, in un rapporto face to face, con 49 opere, tra dipinti e disegni.
Sottolineare il rapporto visivo diretto tra opera e osservatore, quando si parla di una mostra pittorica, potrebbe essere un’inutile ridondanza, ma se a essere discusso è l’operato di chi diede i natali all’action painting – anche conosciuto come espressionismo astratto – allora la specificazione può acquisire una valenza diversa: la tecnica utilizzata da Pollock e gli altri chiamava in causa lo spazio – interiore ed esteriore, l’anima e il corpo, ma anche l’ambiente che circonda l’artista – nella sua totalità. Se a finire sulla tela era l’olio, ciò che però c’era stato prima era ben altro: erano foga, sensazioni e pulsioni che, a detta dello stesso Pollock, difficilmente avrebbero potuto trovare una via migliore per essere espresse. Tra le opere esposte, a firma di Pollock ci sono solo due oli e sei disegni (i quali mettono in mostra un artista in fase evolutiva, con tracce di un espressionismo ancora figurativo, che ricorda un po’ quello tedesco), ma tra essi vi è anche il lavoro Number 27 (1950) che rappresenta una delle più importanti e famose creazioni del pittore americano. I curatori hanno tenuto a fare sapere come quest’opera sia da considerare un prestito eccezionale, date l’estrema fragilità dell’olio utilizzato e le dimensioni ragguardevoli (circa tre metri di lunghezza).
Le restanti tele che trovano spazio nelle sale inferiori di Palazzo Reale coprono un arco temporale che va dalla fine degli anni Trenta fino alla metà degli anni Sessanta. Passando di stanza in stanza, il visitatore si troverà di fronte a opere come Mahoning (1956) di Franz Kline, Door to the River (1960) di Willem de Kooning e Untitled (Blue, Yellow, Green on Red) (1954) di Mark Rothko, e ad altre forse meno rinomate, ma comunque rappresentative di un periodo che ha inevitabilmente condizionato tutto ciò che sarebbe stata la pittura da lì in poi. Previsto dagli organizzatori anche la proiezione di un video in cui si vede Pollock all’aria aperta, intento a liberare il proprio istinto, la propria arte. Astratta sì, ma di una bellezza più che concreta.
Franz Kline Mahoning, 1956
Olio e collage di carta su tela, 204,2 x 255,3 cm
© Franz Kline by SIAE 2013
© Photography by Sheldan C. Collins
Willem de Kooning Door to the River, 1960
Olio su tela, 203,5 x 178,1 cm
© The Willem de Kooning Foundation by SIAE 2013
© Whitney Museum of American Art
Hans Hofmann Orchestral Dominance in Yellow, 1954
Olio su tela, 122,2 x 152,7 cm
© Hans Hofmann by SIAE 2013
© Whitney Museum of American Art
Jackson Pollock Number 17, 1950 / “Fireworks“, 1950
Olio, smalto, vernice di alluminio al bordo, 56,8 x 56,5 cm
© Jackson Pollock by SIAE 2013
© Whitney Museum of American Art
Mark Rothko Untitled (Blue, Yellow, Green on Red), 1954
Olio su tela, 197,5 x 166,4 cm
© Kate Rothko Prizel & Christopher Rothko by SIAE 2013
© Whitney Museum of American Art
Jackson Pollock Number 27, 1950
Olio, smalto e pittura di alluminio su tela, 124,6 x 269,4 cm
© Jackson Pollock by SIAE 2013
© Whitney Museum of American Art