Posted 16 maggio 2013 in Polonia, Slider, Storia with 0 Comments
di Matteo Zola
“Madre, stai allattando un nemico. Strangolalo”. C’è una storia che si racconta poco, una pulizia etnica dimenticata nel cuore d’Europa. Era il 1939 e la Seconda guerra mondiale era appena cominciata. Nelle province di Galizia e Volinia, parte dello stato polacco fino all’invasione nazista, vivevano ucraini e polacchi. A dividerli poco o nulla, gli ucraini erano greco-cattolici, i polacchi cattolici romani. Per i polacchi, si trattava di un materiale demografico etnicamente assimilabile ma opposta era la visione ucraina. Dai pulpiti delle chiese greco-cattoliche cominciarono a tuonare anatemi contro i matrimoni misti e contro i polacchi “oppressori”. In quel 1939 la Polonia venne invasa dai tedeschi e dai sovietici, in ottemperanza al patto Molotov-Ribbentrop, e fu spartita tra le due potenze. Ma durò poco. Nel 1941 l’Operazione Barbarossa portò le truppe di Hitler ad invadere la Russia di Stalin.
Gli ucraini pensarono che finalmente erano maturi i tempi per uno stato nazionale ucraino. Fin dal 1929 era attivo l’Oun (Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini) che in quel 1941 decise di allearsi con i nazisti per cacciare i russi dall’Ucraina e fondare, con l’avallo germanico, uno stato indipendente ucraino. Per i nazionalisti dell’Oun i territori di Galizia e Volinia erano essenzialmente ucraini. Di diverso avviso erano i polacchi riuniti nell’Armia Krajowa, l’esercito clandestino di liberazione. Per loro la Galizia era storicamente una regione polacca. I polacchi si trovarono così a combattere contro i nazisti e contro l’Oun che, dal canto suo, reagì sterminando la popolazione civile colpevole di “dare sostegno” all’Armia Krajowa. Con i polacchi vennero uccisi anche gli ebrei, naturalmente.
A Buczacz, piccola località a maggioranza polacca, la notte fra il 5 e il 6 luglio 1944, fecero irruzione i nazionalisti ucraini al grido di “rizaty, palyty” (uccidi, brucia): le donne e i bambini furono uccisi a colpi d’ascia, le case furono date alle fiamme, al prete fu tagliata la gola. L’11 luglio del 1943 l’Upa attaccò almeno ottanta località e uccise circa diecimila polacchi, dando fuoco alle case, uccidendo a colpi di falci e forconi. Corpi di polacchi vennero appesi alle case, crocifissi, sventrati, decapitati o smembrati. Ma ormai la guerra nazista era perduta e i sovietici stavano arrivando. La popolazione civile vide nell’arrivo dei sovietici la fine dell’incubo e si organizzò in comitati di autodifesa chiedendo le armi, paradossalmente, proprio ai nazisti che si ritiravano. La guerra si tradusse in “tutti contro tutti”: i partigiani dell’Armia Krajowa contro nazisti, sovietici e ucraini; i nazionalisti dell’Oun (nel frattempo divenuto Upa) contro tedeschi (colpevoli di aver tradito le speranze ucraine) e sovietici; Armata rossa contro nazisti, partigiani polacchi e nazionalisti ucraini. Ma i russi, come già in altre occasioni, attesero che le parti si scannassero per bene prima di intervenire.
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