Denis Villeneuve, regista canadese, per enucleare il massacro di Montreal avvenuto il 6 dicembre 1989 dove un uomo entrò in un politecnico con l’obiettivo di sterminare tutte le persone di sesso femminile che vi erano all’interno, utilizza le due nozioni citate prima attraverso riferimenti propri alla storia: le due ragazze che ripassano gli appunti sull’entropia e l’incombente riproduzione nel complesso universitario della Guernica, ma anche e soprattutto per modellare il suo racconto poiché il folle misogino armato di fucile che con il suo vagare all’interno dell’istituto tenta di stabilire un aberrante equilibrio senza donne è similare al concetto di disordine all’interno di un sistema specifico. Inoltre il taglio alla storia è dato da una visualizzazione tripartita al pari delle rappresentazioni picassiane: l’oggetto del racconto è l’eccidio, ma esso ci viene mostrato tramite tre sguardi (assassino, ragazza coi capelli corti, ragazzo con la barba) e tre momenti temporali (il prima, il mentre, il dopo) che donano più sfaccettature a quella che resta un’unica, terribile, tragedia.
Il tutto è poi inserito in una cornice d’arti(sti)co bianco e nero in cui un montaggio tanto spietato nel mettere a nudo l’impotenza dei più deboli a cospetto della folle malvagità di un uomo, quanto perfetto nel suo rigore estetico con algidi spostamenti di camera compensati dalle esplosioni del fucile che iniziano ben prima di quanto possiate immaginare, riesce in più a prendere per il naso lo spettatore per la natura atemporale di cui è costituito.
Brividi nella scena in cui il killer divide i maschi dalle femmine all’interno dell’aula, e qualche dubbio su un finale fatto di sgocciolante retorica. Ma aldilà di questo Polytechnique resta un’opera eccellente e uno dei migliori film da me visti negli ultimi mesi.