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Se c'è almeno un motivo per seguire i bloggers sparsi qua e là, è quello di conoscere registi di cui non si sapeva l'esistenza.
Grazie alle opinioni lette in giro, infatti, quello che ritenevo essere un film neanche troppo malaccio, uscito qualche settimana fa -Prisoners- si è presto rivelato invece un must see, come il resto della filmografia di Denis Villeneuve.
Ecco quindi che la retrospettiva parte dal suo quasi esordio (il terzo di sei film), datata solo 4 anni fa e che deve essere visto.
Perchè?
Già, visto che delle stragi nelle scuole se ne è parlato anche troppo e anche parecchio bene, basti pensare al documentario doc di Michael Moore Bowling for Columbine o dell'autoriale Elephant di Gus van Sant o ancora -e scusate lo spoiler- con un punto di vista diverso in ...e ora parliamo di Kevin, perchè un altro film su questi drammi insensati?
La risposta non è così facile da trovare, ma basta vedere anche solo qualche scena di Polytechnique per capire che questo film ha qualcosa in più, che merita di essere visto non solo per la sua estetica perfetta, ma anche per il messaggio che cerca di comunicare.
Partendo dai fatti realmente accaduti il 6 dicembre 1989 al Politecnico di Montréal, Villeneuve crea dei personaggi con cui si entra subito in empatia: delle studentesse speranzose, un giovane dal cuore d'oro... tra loro però si staglia "l'assassino", sociopatico, problematico e maniacale nel suo ordine che con un fucile automatico irrompe nella scuola compiendo una strage.
Nella realtà, 14 saranno le vittime con altrettanti feriti. Nella finzione, quello che si sente e si vede, è una palpabile tensione, che cresce e si fa insopportabile nei soli 77 minuti di durata, con un giustiziere che colpisce solo le donne, presunte femministe, che gli hanno rovinato la vita.
Per raccontare tutta questa insensatezza e questo dolore, il regista usa un bianco e nero quanto mai poetico, che permette al rosso del sangue di non riempire con la sua violenza lo schermo, lasciando questo ruolo a macchie che si incrociano, a carrellate tese, a inquadrature destabilizzanti.
Il manierismo della macchina da presa incornicia così l'insostenibilità della situazione, regalando vere perle visive difficili da dimenticare, perfette e espianti.
Il messaggio di accusa, di speranza e di dolore, è relegato alle parole finali di una delle protagoniste, Valérié, che con le sue parole dà il senso finale dell'opera, rispondendo così, come se la visione non fosse bastata, alla nostra domanda iniziale in modo più che esaustivo.
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