Piaccia o no ai cyber-fanatici a 5 stelle, la cara vecchia TV è ancora l'elettrodomestico "pensante" che domina il gusto, la moda, il voto e nella peggiore delle ipotesi le nostre giornate.Lo fa perchè si addice alla pigrizia: è di facile utilizzo e permette di cambiare canale istantaneamente quando sullo schermo compare il volto di qualche nemico (Mario Draghi, Renzi, Salvini…).Spotify, e con esso altri sistemi di streaming che sono certo esistano - o tutt’al più esisteranno - ma che ancora non conosco, ebbene anch’esso si addice alla pigrizia. Passare da un brano all'altro, da una playlist all'altra, da un disco all'altro “non è mai stato così facile”, lo dice anche la reclame.Facile, indolore ma ruffiano: perchè ti esorta a credere che sia tu al centro della scelta e sia tu il DJ di turno, mica il solito falso quarantenne belloccio di Radio DJ.La realtà, al contrario, dice che è facile ritrovarsi in balia della musica. Mani in alto: sei circondato da bilioni di brani a portata di mouse. Bilioni di brani che ti si rovesciano addosso istantaneamente e senza esborso. Serve un bel sangue freddo e una rigida programmazione per non perdersi in un dedalo in cui Arianna non ci fa nemmeno la cortesia di porgerci un capo del suo filo. Per non parlare di quella sottile foschia di imponderabile aleatorietà che circonda ogni “edizione digitale”. Chi ci suona? Chi ci canta? E l’anno di pubblicazione? Sarà proprio queldisco, o no? Una serie di spettri musicali che escono come il vapore dalla lampada magica; e ti chiedi se mai riuscirai a rificcarli lì dentro.Sangue freddo – rigida programmazione.Allora ecco il resoconto di uno dei pomeriggi in cui, dopo una pianificazione in realtà assai superficiale, mi sono immerso, con scafandro e bombole, nell'universo del tutto-qui-e-subito. Una mondo mica privo di rischi, sopratutto se vi imbattete in qualche mostruosità industriale per sole orecchie adulte.
Il primo spettro
Il primo incontro è stato con tali Stoned Jesus, di cui avevo colto qualche nota, qua e la sui social e di cui mi aveva incuriosito il nome. Un terzetto ucraino che potrebbero essere gli Sleep alla caccia di una Baba Yaga ribelle nelle steppe del Don.Suonano bene, coesi, potenti. Ma potrebbero essere chiunque da Ozzy, agli Om, a qualunque gruppo stoner più allineato degli ultimi 20 anni; da lì in giù. Almeno sul primo album First Communion (anno 2010): o meglio, qui suonano esattamente come una clonazione appena dilatata dei primissimi Black Sabbath. Seven Thunders Roar (2012) l’altro ascolto disponibile, è assai meglio. Sarà giudizio facile, ma gli eterni 16 minuti di I'm The Mountain, pur nel prevedibilissimo, se non banale, sviluppo acustico-elettrico / soft-hard, emergono con un bel senso di imponenza tra lo space rock e il doom progressivo più canonico e pregevole. Bella la cover da selva dantesca in riserva indiana. Su Amazon pare non abbiano mezze misure: o mp3 o vinile, perché pare che ascoltare certe cupe sinfonie alternative su LP faccia molto figo.
Il secondo spettro
La musica degli Swans ha a che fare con la tragedia. Un coro prostrato nella ορχήστρα (orchestra), che assiste inerme al disfacimento del mondo, degli uomini, dei sogni. E lo traduce con una magniloquenza wagneriana, incapace di azione ma non priva di pietà per il dio-uomo che arde nell'incantesimo del fuoco di Wotan.In catalogo, qualche album dell'ultimo periodo, pochissimo degli albori, ma un "doppio CD" (senza CD, in effetti) spurio, forse bizzarramente accoppiato ma affascinante, che incorpora il notevole Children Of God (1987) all'antologico World of Skin (1989, in realtà nemmeno degli Swans ma proprio degli Skin, side project di Gira & Jarboe). Questo non-rock ambientale, deprimentissimo quanto suadente, si espande dalla ballata flautata (In My Garden) alla marcia funerea che celebra qualche nuova dittatura del pensiero (qui gli esempi sono innumerevoli: Sex, God Sex, Like a Drug, la doorsiana Children of God). Perfino malie orientaleggianti, quasi fosse un esotismo malato d'inizio Novecento (Blood and Honey).Ora è una messa nera alla Stooges (Real Love, credo uno dei pezzi definitivi della depressione rock), ora sono i lamenti delle vestali violate nel tempio di Apollo ai rintocchi di un basso plumbeo (Red Rose); ora le meditazioni profonde di un ottavista orientale al bordo del deserto (Our love lies, One Small Sacrifice).Dalla “drammatica” lezione di vita dei Joy Division e Ian Curtis, un ponte impossibile verso la patinata NWOBHM e il nichilismo di chi si è accorto che il punk fu roba da ragazzini annoiati. Il bello è venuto da questa nuova consapevolezza…Non può lasciare indifferenti, anche nel marasma del digitale, anche nell’ansia del multitasking; l’Arte emerge sempre.
Il terzo spettro
Anche il rock dei Godfleshguarda alla tragedia. Lo fa in maniera diversa dagli Swans. Senza pietas, asportano quei barlumi di Fede residua (non importa in chi, o cosa) di stupore, di umanità. E così facendo lasciano la musica in pasto all’alienazione di ombre in un mondo di robot assassini che marciano ormai senza nemmeno la necessità di rituali, investiture o simboli. Come dei Killing Joke hardcore con esoscheletri tecnologici e spaziali, forgiati negli altiforni di Caspar Brötzmann, seguendo gli algoritmi ritmici che furono dettati dai Kraftwerk. Nel loro caso le possibilità di scelta digitali sono di una vastità addirittura esasperante. Ore e ore di musica che scorre accompagnata solo da ritagli di copertine e sballatissime indicazioni temporali. Tra questo caos criminale, due titoli coi quali ho trascorso un tranquillo pomeriggio d'orrore: Godflesh, per Spotify anno 2009, in realtà primo album del gruppo datato 1988 e Streetcleaner, seguito del precedente e “magnum opus” del 1989 (non certo del 2010). Due album coerenti, monolitici, che non versano lacrime sullo sconfitta dell' uomo, ma ne dissezionano con spasmodico sadismo ogni ultimo neurone pulsante.Suggestioni casuali: Godheadnella sua tremenda tirata nichilista, poi Wounds, tredici minuti di robotick asfissiante lacerato da sanguinolenze industriali; le onde distorsive quanto violentemente ipnotiche di un Hendrix-Robocop di Head Dirt; l’elettroencefalogramma schizoide di un cadavere che assiste alle guerriglie urbane di Devastator.Questa musica dovrebbe essere vietata ai minori; e non certo per i testi. Alla fine i 30 inderogabili secondi di pubblicità arrivano quasi come un sollievo: Elisa che ti canta il ritornello dell’ultimo singolo, a metà tra Weak Flesh e Ice Nerveshatter.Altrimenti sarebbe stato il definitivo smarrimento in una scena da fantascienza pazzoide sull’orlo di una personale apocalisse.
Flauti di alta montagna, jazz e bebop, strumenti mongoli a una corda, xilofoni gitani, tamburi africani, cornamuse arabe...La Città è periodicamente visitata da epidemie di violenza, e i morti non sepolti vengono divorati dagli avvoltoi nelle strade. Albini sbattono le palpebre nel sole. Bambini appollaiati sugli alberi si masturbano languidamente. Gente smangiata da malattie sconosciute osserva i passanti con sguardi cattivi e consapevoli.William S. Burroughs – Pasto nudo
Alcuni di questi album, di queste canzoni, vorrei potermeli rigirare tra le mani; sfogliarli, osservarli. E non è detto che presto non sarà così. A volte il tutto-qui-e-subito non basta.
Sicuramente non soddisfa.