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>>Ponte sullo Stretto: capitali cinesi, ma a quale fine?

Creato il 21 novembre 2012 da Felice Monda

Pochi giorni dopo l’esclusione del progetto per il Ponte sullo Stretto di Messina dai co-finanziamenti comunitari europei, il Presidente della società “Ponte Stretto di Messina” Giuseppe Zamberletti ha annunciato che «ci sono capitali cinesi pronti a finanziare l’opera». Ma c’è veramente l’urgenza di affidare un’opera pubblica italiana – di dubbia utilità –  a delle aziende straniere? 

L’ULTIMA NOTIZIA - Si è buttato molto inchiostro sulla vicenda del ponte sullo stretto di Messina; un progetto pensato e così tante volte rivisitato che, pur non essendosi ancora concretizzato, da molti è stato visto per anni come un miraggio di modernità per il Mezzogiorno, mentre da altri (esempio lampante, il Governo Berlusconi) è stato utilizzato come“acchiappa-voti”, con risultati non sempre soddisfacenti.

Più di ogni altra cosa però il progetto è stato, fin dai suoi arbori, un vero e proprio ricettacolo di critiche, arrivate da quasi tutti i maggiori quotidiani nazionali, dalla politica e, in primo luogo, dai cittadini. Principalmente, infatti, molti considerano quest’opera del tutto inutile, un mero spreco di soldi di cui l’Italia non dispone affatto.

ALLA RICERCA DI FONDI - Da qui è partita un’eterna caccia ai finanziamenti che, stavolta, ha varcato la soglia dell’inquietante. Sabato 3 novembre Giuseppe Zamberletti, Presidente della società Ponte Stretto di Messina, ha annunciato che «ci sono capitali cinesi pronti a finanziare l’opera». In particolare vi sarebbero la Cic (China Investment Corporation) e la Cccc (China Communication and Construction Company), rispettivamente il fondo sovrano di Pechino - ovvero un veicolo d’investimento pubblico utilizzato da diversi Governi per investire in strumenti finanziari come azioni, immobili e altre attività fiscali e di valuta estera - e una società di costruzioni, ad essersi interessate al “caso Messina”.

La Cccc avrebbe mandato dei rappresentati a Istanbul per incontrare Giuseppe Fiamminghi, direttore generale della Ponte Stretto di Messina. E non è tutto: le stesse società orientali avrebbero perfino parlato di unprogetto ”Ulisse” - una piattaforma logistica che dovrebbe collegare Trapani e Gioia Tauro -, nonché di diversi investimenti in infrastrutture meridionali, in particolare per quanto riguarda la linea ferroviaria Napoli-Sicilia.

UNA LUNGA VICENDA ITALIANA - La storia del progetto per il Ponte è tipicamente e squisitamente italiana: una vicenda tragi-comica, che negli anni ha visto un continuo susseguirsi di vari abbandoni e riprese, seguendo l’alternarsi dei vari Governi, come una staffetta un po’ ridicola e un po’ macabra. Fin dal 2001 infatti, il Governo Berlusconi ha sostenuto il progetto,arrivando a proporne uno preliminare e a indire una gara d’appalto, vinta nel 2005 dall’Associazione Temporanea d’Imprese Eurolink S.C.p.A; tuttavia, dopo che in quello stesso anno la Direzione Investigativa Antimafia ha parlato di ovvi tentativi da parte di Cosa Nostra di mettere le mani sulla costruzione del Ponte e dopo l’elezione, nel 2006, del governo Prodi, il progetto è stato abbandonato.

Dal 2008 il governo Berlusconi, tornato al potere, ha ripreso l’iter per la costruzione. Il Ponte era considerato un tassello fondamentale per il completamento dell’ “Asse Ferroviario 1″ della Rete ferroviaria convenzionale trans-europea TEN-T, un progetto internazionale che punta a collegare entro il 2020 alcune delle maggiori città europee. Tuttavia, proprio in questa settimana,l’Unione Europea non ha incluso il Ponte nelle linee strategiche dei corridoi trans-europei, il che implica che l’opera non riceverà più un centesimo dei co-finanziamenti comunitari, ma dovrà essere finanziata interamente dai fondi pubblici. Un problema notevole, mentre la crisi morde e la politica economica è tutta volta ad arginare il debito del Paese. Anche per questo l’attuale governo Monti ha stabilito, lo scorso 31 ottobre, di prorogare i termini dell’approvazione del progetto definitivo. Sembra si tratti, in pratica, di scaricare la spinosa decisione su un Governo successivo.

Nel frattempo, tuttavia, il progetto va avanti, sempre e comunque a spese nostre; pare, infatti, che sia stato dato il permesso per costruire opere temporanee allo scopo di salvaguardare il sito (lo Stretto) in attesa dei lavori, quei lavori che potrebbero non iniziare mai. Proprio in questo clima d’incertezza e inettitudine, le società di costruzioni cinesi hanno deciso di farsi passare la patata bollente, che per loro potrebbe essere un’allettante opportunità da cogliere al volo.

SCELTA IMPRUDENTE - Siamo alle solite: dove il pubblico risulta inefficiente per coprire le spese per un qualsiasi progetto, entra in gioco l’investimento privato, tra l’altro estero. Inutile elencare le criticità del progetto per il Ponte in sé, che risulta un investimento non prioritario, se non inutile, per un Meridione che, a livello di trasporti, è dilaniato da problemi ben più urgenti. Stiamo parlando, infatti, di un’opera che sarebbe tra le più costose di tutti i tempi in Europa, senza contare i problemi che si presentano in una zona ad alto rischio sismico.

Concentrandosi solo sulla questione dei finanziamenti cinesi, un’altra domanda che ci si dovrebbe porre riguarda le finalità che delle aziende straniere potrebbero avere nell’interessarsi ad investimenti del genere nel nostro Paese. E a questo proposito, è chiaro che gli obiettivi sono di natura unicamente economica, e non potrebbe essere altrimenti. Mettere la costruzione di un’opera pubblica nazionale, peraltro di dubbia utilità, totalmente in mano a dei privati non sembrerebbe certo una scelta prudente: abbiamo davvero l’urgente necessità d’intraprendere un progetto di cui la popolazione italiana non ha bisogno e su cui oltretutto l’ultima parola, a livello decisionale, spetterebbe sempre ad altri? 

di Eleonora Cosmelli - dailystorm.it


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