Siamo ridotti veramente male se da tre o quattro giorni le cronache politiche sono appese a Pontida, all’angoscioso dilemma se parlerà solo Bossi o anche Maroni, se il Trota metterà il pollice nella polenta taragna bollente o si asterrà. Se continuerà l’appoggio a Berlusconi oppure la Lega farà il gran rifiuto, se ci sarà l’investitura di un successore del senatur oppure no.
E’ proprio vero quello che dice Anna Lombroso: la cifra dei testimoni e interpreti del nostro tempo è la sorpresa di fronte a fenomeni che la claustrofobia delle redazioni e dei contatti privilegiati dentro ambienti altrettanto chiusi, ha impedito di comprendere e avvertire a tempo. Così abituati ormai da qualche anno a riverire la Lega, il suo radicamento (parola da pronunciare con estatica compunzione), a considerala invincibile e in ascesa, oggi non si può fare altro che essere trascinati dall’inerzia e puntare i riflettori sull’evento, dal quale se sortirà un topolino d’india sarà già gran cosa, al posto dei ratti verbali che corrono solitamente su quel prato.
La ggente, persino quella con due g è molto più avanti dei grandi giornali e infatti la Lega ha avuto il problema di portare a Pontida un numero di persone atto a non sfigurare davanti alle telecamere: nonostante abbia abbassato a 6 euro il prezzo di andata a ritorno dal fatidico prato, è stata costretta a smuovere tutto il suo apparato per riempire i pullman. E forse i renitenti hanno più fiuto dei notisti politici, perché avvertono che nulla sarà deciso dentro questo scenario.
Chi vuole perdere una domenica di sole per ascoltare l’ennesimo penultimatum? E anche i buoni propositi che resteranno sulla carta? La strategia per il recupero di un elettorato che sta mangiando la foglia sarà un’amento della dose di xenofobia già anticipato da Maroni con le sue Guantanamo da 18 mesi, accompagnato dalla imperiosa richiesta di ritiro dalla guerra di Libia, non per motivi umanitari, non per rifiuto della guerra, ma per quella sorda disumanità che vede nell’accoglimento e nell’arrivo dei profughi il male assoluto.
E dire che c’è chi ancora crede che la Lega sia una costola della sinistra e si affanna a cercare dialogo. Ohè ragazzi, ma siam pazzi? Chissà dove questi profondi strateghi pensino stiano le costole, ma in ogni caso è ovvio che ormai l’Italia non si può ritirare senza uno strappo troppo forte con la Nato e anche se lo facesse, non cambierebbe nulla perché la guerra e i profughi ci sarebbero comunque.
Secondo tema per le allodole del pratomagno, la riforma fiscale, che ovviamente non si può fare, ma che verrà utilizzata per soffiare di nuovo sul fuoco del secessionismo, dicendo che i denari si troverebbero se si buttasse a mare il Sud. Si la riforma non si può fare, ma un decreto si, come nel 2005, da mettere nel cassetto. Berlusconismo allo stato puro.
E infine l’autoincensamento dei capi per aver raggiunto il federalismo, di cui detto tra parentesi non frega nulla a nessuno se si traduce in più tasse locali, come in effetti sarà e come si sta cominciando a vedere. Il prodotto era stato venduto come un altra cosa e adesso che è arrivato c’è la tentazione di rispedire il pacco al mittente. Ma li viene di nuovo bene il discorso del fantomatico calo delle tasse. Il bricolage politico quando si hanno poche cose da dire è una necessità.
Quindi lodi e richieste ultimative per far credere che votare ancora la Lega abbia un senso, che loro anche con Silvio ce l’hanno duro. E cose da contrattare in seguito per metterci una pecetta che salvi la faccia. Ma il no a Berlusconi non verrà perché la Lega sa benissimo che quella è l’acqua in cui può sguazzare, quella dell’egoismo e dei destini personali, della distruzione etica e sociale, della solidarietà negata, della mancanza di un sentimento civile e di una comunità nazionale. Anzi per recuperare deve proprio premere sull’acceleratore dei sentimenti negativi.
Senza Silvio, senza il meccanismo mediatico del Cavaliere che consente di vendere falsi problemi e di nascondere quelli veri, di avvincere dentro un universo concentrazionario di puerili pregiudizi, la Lega ritornerebbe alla marginalità sia elettorale, sia politica non potendo più ricattare l’autocrate col suo 8% e rotti sul piano nazionale. Del resto già oggi la pretesa di essere sindacato del Nord suona un po’ ridicolo, avendo in pratica meno del 10% in tutte le grandi città della “sua” area ed essendo in minoranza in moltissime di quelle medie.
Insomma una commedia di mezza estate per tirare avanti ancora un’estate e per scannarsi tra di loro con comodo. E noi come beoti a guardare il prato, invece di tirar fuori il Paese dal degrado in cui è caduto, a bearci per inerzia dei fantasmi di un’epoca ormai conclusa.