In questi giorni, vedere le immagini dei profughi tunisini sbarcare a Lampedusa, mi ha fatto tornare alla mente il primo viaggio fatto in Tunisia con il fuoristrada durante il periodo natalizio.
Il viaggio vero e proprio inizia in realtà a Genova, dove espletare le pratiche di polizia prima e quelle doganali poi è sempre un’impresa, soprattutto quando ci si ritrova in mezzo a centinaia di persone alle prese con una discutibile organizzazione.
In quel freddo e ventoso ventiquattro dicembre ero in coda agli sportelli della compagnia navale per fare il check in. Il mio gruppo era composto di cinque equipaggi ed ero depositaria dei biglietti di tutti quanti.
Io, da sola, in mezzo agli altri passeggeri, tutti uomini e di nazionalità tunisina.
L’attesa è stata eterna, più o meno quattro ore in piedi ad attendere che l’ufficio si degnasse di aprire. Non c’era nessun motivo accettabile per cui dovessero lasciarci lì ad aspettare quando, ormai, si stava accumulando ritardo sulla partenza della nave.
Ad un certo punto però la folla, me compresa, ha iniziato ad innervosirsi ed ha provato a reclamare l’arrivo dell’impiegato. Ricordo che intorno a me si era formata una sorta di catena umana il cui scopo era di proteggermi dai più facinorosi.
Gli uomini che mi stavano intorno avevano molto a cuore la mia incolumità ed erano molto incuriositi dal fatto che mi trovassi lì in coda con loro la Vigilia di Natale.
Quando è stato chiaro che la moltitudine di gente stanca ed innervosita non fosse più gestibile, è uscito un addetto della compagnia navale a gettare sulla folla un mazzo di fiches da compilare e da consegnare al momento del check in. Quando dico ‘gettare’ intendo proprio il gesto che compie un contadino mentre butta il mangime nel recinto dei maiali.
Vista la rissa che si è scatenata per recuperare i fogli, tranne per me che me li sono ritrovata magicamente in mano grazie alla gentilezza di qualcuno, è intervenuta la Polizia armata di manganelli dicendo che quelli lì se lo meritavano di essere trattati in quella maniera.
Allora io, che i fatti miei difficilmente riesco a farmeli quando c’è qualcuno da difendere, sono emersa dal mucchio di teste ed ho affrontato un poliziotto chiedendogli di ripetere quello che aveva appena detto.
Lui, un po’ in imbarazzo, ha farfugliato qualcosa cercando di giustificarsi mentre io gli dicevo che nessuno di noi meritava di essere trattato come un branco di animali, italiano o straniero che fosse.
Purtroppo dalla Tunisia, attualmente, sta arrivando moltissima gente a causa della recente rivoluzione e Lampedusa, con i suoi ventidue chilometri quadrati, non è il luogo adatto per accoglierli. Tuttavia mi fa tenerezza vedere la maggior parte di loro darsi da fare per aiutare a ripulire l’isola per dimostrare che non tutti sono delinquenti e che, anzi, sono solo persone in cerca di aiuto che vogliono solo essere trattati come esseri umani.
Esattamente come quelli che ho incontrato tanti anni fa, di rientro a casa dopo un anno trascorso a lavorare all’estero, lontano dalle proprie famiglie.
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