Lo sbandamento del Paese, soprattutto del cosiddetto popolo di centro-destra, è innegabile e riflette il clima da panico dei forconi che riverbera dai palazzi del potere, come ben raccontato da Bechis oggi. Una classe dirigente nel pallone non può che disorientare l’elettorato di riferimento, il quale è rimasto via via sempre più annichilito e deluso dagli accadimenti clamorosi e contraddittori che in questi anni si sono succeduti.
Sarebbe stato logico aspettarsi che, di fronte all’evidente e dichiarato prossimo pensionamento dei massimi leader di centro-destra, Bossi/Berlusconi, gli avversari politici e le procure allentassero la presa, contribuissero a rasserenare il clima, rendendo così almeno l’onore delle armi ai ventennali nemici. Niente. Le belve sentendo l’odore del sangue hanno moltiplicato gli attacchi per finire le prede, dalle carni ormai già a brandelli, a lungo sfuggite.
Alfonso Papa è stato la vittima sacrificale di un Parlamento di imbelli, terrorizzati dalla montante ondata di insofferenza per questa politica, in congiuntura con una lotta di potere all’interno della Lega, dove l’ala ‘maronita’ ha ceduto alle pulsioni della base che ormai sempre meno sopporta la sudditanza verso Berlusconi. Eppure, cari leghisti, non era necessario ammanettare Alfonso Papa per contarsi e soddisfare i tumulti delle vostre genti. Così facendo avete consegnato le chiavi del Palazzo alle procure e non conta nulla, ma proprio nulla, se Papa sia colpevole o meno, cosa che peraltro nemmeno potevate e dovevate valutare. Tempo al tempo. Siete stati troppo precipitosi, ci si scanna per l’eredità a fine funerale, non prima.
È però indubbio che sia questo il motivo del disorientamento del popolo del centro-destra, perché sente – anche se non tutti lo riconoscono – che è finita un’era. È morto il re, ma non si può ancora inneggiare ‘viva il re’: si è nella Terra di Mezzo. Una terra fantastica che offre grandi opportunità e altrettanti pericoli. Non solo, ma è il momento ideale per volgere lo sguardo all’indietro e fare un bilancio. A parte le responsabilità di governo e leadership incontrastata giunta a fine corsa, le similitudini tra Lega e Pdl si fermano qui e di seguito ci occuperemo solo del partito maggiore.
Il bilancio non è positivo. Troppo di quanto promesso è rimasto nel cassetto e non solo per colpa delle procure. Ma una cosa è certa: oggi esiste un popolo di centro-destra che prima del ’92 non c’era e questo non si dissolverà una volta eclissatosi definitivamente Berlusconi. Ci saranno divisioni, lotte per la successione, emergeranno leader veri e falsi, si vedranno opportunismi e ridondanti populismi, però sono convinto che questo popolo saprà distinguere, perché non è accomunato solo dalla leadership di Silvio Berlusconi, ma da un comun sentire maturato nel tempo.
Rimangono ancora validi e da attuare tutti quei programmi che tante volte si sono sentiti: meno stato, meno tasse, più liberismo, minor burocrazia, migliori e nuove infrastrutture, il cambiamento della Costituzione, il presidenzialismo, ecc. Tutte cose sentite mille volte e ancora da molti sognate come unica percorribile via per un Paese migliore. Con o senza Berlusconi, questi sono i valori del centro-destra o, se si vuole, la sua eredità.
Il discorso del 1° luglio di Angelino Alfano, alla sua nomina ufficiale di segretario di partito, è stato in molti punti addirittura entusiasmante, ma un passaggio di quell’intervento è da cestinare in toto: quando ha invitato Casini e altri moderati alla costruzione del centro-destra. È stato un errore, nella perfetta continuità della scuola politica di Letta e Berlusconi, quella che ha sempre cercato la mediazione anche quando questa si rivelava impraticabile.
È necessario proprio il contrario. Bisogna mollare le troppe zavorre che prima Forza Italia e poi il Pdl hanno preso a bordo. Bisogna ripartire da quei punti mai realizzati e incardinarli nello statuto del nuovo centro-destra come fossero le Tavole della Legge e a queste giurare fedeltà di intenti. Non è più tempo di alleanze disomogenee, giochi di Palazzo, contrattazioni di mercato. Sarebbe ripetere errori già compiuti.
È probabile che senza la Lega e Casini si perdano le elezioni, ma meglio perdere le elezioni che gli obiettivi, meglio perdere le elezioni che arrivare al governo per non poter governare. Si potrà obiettare che un grande partito di massa debba necessariamente contenere diverse anime e opinioni e che solo i partiti piccoli possono rimanere coesi negli intenti, ma la sfida è proprio questa. Si tratta di spiegare e convincere, con pervicacia, senza scendere a compromessi. Altrimenti si ritorna punto a capo. E un Fini, un Bocchino o un Casini a sbarrare il passo si troveranno sempre, ma non importa, basta non prenderseli in casa.
scritto da Paolo Visnoviz