Non ho mai avuto dubbi sulla “profonda intesa” che esiste fra Silvio e Matteo: su questo blog è stata messa in luce da anni a cominciare dalle connessioni che legano l’azienda di famiglia del sindaco all’universo mediatico berlusconiano, proseguendo sulle evidenti affinità culturali, poi sullo scambio di uomini chiave, sulle reciproche simpatie apertamente espresse e infine sulle identiche concezioni politiche o forse sarebbe meglio dire antropologiche finalmente e definitivamente emerse dopo l’incontro del Nazareno.
La sintonia su una legge elettorale che mantenga lo statu quo ante e che si prefigura come un potpourri ancora peggiore del porcellum, non è soltanto il tentativo di conservare di comune accordo le rendite di apparati minacciati dal nascere di nuove forze e dai danni procurati al Paese o conflitti di interesse inammissibili in una democrazia o ancora salvezze personali in barba alle leggi che sono state di sicuro contrattate, ma nasce dal medesimo profondo disprezzo per le istituzioni, per le regole, per i cittadini. Non una delle considerazioni che la Consulta ha espresso dopo aver dichiarato incostituzionale il Porcellum ha trovato voce. La Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo il premio di maggioranza in quanto deformazione della rappresentanza e un premio di maggioranza, ancor più grande di prima figura nel progetto Renzi – Berlusconi. Ancora una volta si nega il rapporto diretto tra elettori ed eletti e si ricorre all’appiglio delle liste uniche corte e ai piccoli distretti elettorali che mentre continuano la gloriosa tradizione dei nominati, incapaci di qualsiasi autonomia, infliggono però un ferita ancor più profonda alla rappresentanza, dal momento che uno sbarramento del 8% su una base elettorale piccola, diventa assai più pesante che su una grande (vedi qui) per non parlare dell’assurdità di ridurre lo sbarramento al 5% per le coalizioni. E infine salta fuori il ballottaggio ma solo nel caso che una delle coalizioni non raggiunga il 35%, soglia oltre la quale scatterebbe il premio di maggioranza. In questo modo anche la legittimazione che un secondo turno potrebbe dare va in acido consentendo che una minoranza abbia una maggioranza assoluta, anticamera del presidenzialismo. Siamo proprio nel solco della “rinascita democratica” messo in piedi da Gelli, anche se incarnato in un pasticcio inverosimile.
Nel complesso tutto questo offre un’idea di governabilità tutta italiana, ed è giusto che il pasticcio sia stato battezzato Italicum, anche se sarebbe stato meglio Italiotum, perché sposta tutta la pluralità delle posizioni dal Parlamento alle contrattazioni pre elettorali e insomma a quel territorio in penombra delle clientele, delle lobby, dell’affarismo, dei do ut des, dei ricatti passando completamente sopra la testa degli elettori. La vera sintonia è proprio questa. E del resto quando l’anno prossimo i cittadini italiani, frastornati dalle lucette di natale messe in fondo al tunnel o al fondo del barile, si accorgeranno di cosa significa sottrarre i 50 miliardi del fiscal compact dal ciclo economico, potrebbero essere indotti a spazzare via il sistema politico. Perciò esso sta secernendo come le lumache un guscio calcareo che lo protegga dentro una sorta di inamovibile legittimità formale.
A questo punto però darà anche legittimità sostanziale all’antagonismo di sopravvivenza le cui forme potranno anche essere violente, all’autodifesa, alla resistenza o alla disobbedienza di cittadini senza più voce in capitolo con esisti del tutto imprevedibili. Ma la responsabilità sarà alla fine proprio di questi oligarchi vecchi e giovani, colpevoli del loro stesso disastro.