Alzi la mano chi - guardando un film di Miyazaki - non ha mai pensato che sarebbe bello vivere nel mondo dalle mille sfumature che il maestro giapponese ogni volta ci regala!
Per fortuna qualche produttore cinematografico ha ritenuto un buon investimento riportare al cinema i vecchi lavori di Miyazaki. E così, grazie ad Andrea Occhipinti, eccoci in sala a vedere Porco rosso, un film che risale al 1992.
Da un punto di vista del disegno e del tipo di animazione, dei colori e delle musiche, mi è sembrato di essere trasportata in un attimo alla mia tarda infanzia, quella dei cartoni giapponesi che sono stati il nostro cibo quotidiano per tutti gli anni '80 (da Candy Candy a Georgie, dalla piccola Flo ad Annette, fino ad arrivare a Yattaman).
Il volto di Fio e il suo modo di muoversi, le bambine prese in ostaggio dai pirati e salvate da Porco rosso, gli stessi pirati della compagnia "Mammaiuto", sono assolutamente in linea con questa produzione.
Ma la grandezza di Miyazaki è la capacità di utilizzare registri visivi e narrativi apparentemente tradizionali per veicolare personaggi e storie straordinarie. E così nella varietà degli approcci che ci propone i suoi temi ci sono sempre tutti, con una incredibile coerenza.
C'è l'elemento fantastico; qui lo strano caso del pilota italiano Marco Pagot condannato per un maleficio ad assumere le fattezze di un maiale, non si sa bene per quali motivi e in quali circostanze.
Ci sono le figure femminili che qui diventano l'elemento di continuità e il vero motore della storia: dalle quindici, scatenate, bimbette rapite dai pirati alla giovane Fio, ingegnere progettista di idrovolanti, dalle donne del paese chiamate a lavorare alla costruzione dell'aereo di Porco alle nonnine vitali e operative, fino ad arrivare alla bella e malinconica Gina, che gestisce l'Hotel Adriano.
Le figure femminili sono la parte più delicata e, allo stesso tempo, forte del film. Intorno a loro si muove una massa di figure maschili i cui tratti tendenzialmente caricaturali li rendono sgraziati e a volte un po' inetti, ma sostanzialmente simpatici.
Ci sono i temi politici: il rifiuto della guerra e dei totalitarismi, la scelta di una morale libertaria ma fondata sui valori del rispetto e della solidarietà umana, l'amore, la compassione.
C'è la componente onirica nella bellissima storia che Porco racconta a Fio.
C'è il mistero dell'irrisolto, visto che non sapremo mai se il maleficio su Porco sarà alla fine sciolto.
C'è - in fondo in fondo e nonostante la luminosità delle immagini e la positività e freschezza che si sprigiona dai personaggi - un senso di malinconia e pessimismo, che è connaturato alla poetica di Miyazaki e che nasce dalla constatazione che l'umanità, nonostante le sue potenzialità, finisce spesso per intraprendere le strade della morte, della distruzione della natura, del conflitto.
Ma qui non ci sono maghi né bacchette magiche a modificare il corso degli eventi. Solo un uomo dal gran cuore, trasformato in un maiale, e una giovane determinata e piena di ideali.
In generale, rispetto ad altri lavori di Miyazaki non c'è dubbio che in questo si avverta il desiderio di librarsi al di sopra delle angosce (sfiorando la superficie dell'acqua o volteggiando tra le nubi), di ritirarsi nell'armonia della solitudine (la spiaggia dove Porco ha costruito il suo rifugio), di provare ancora a credere in quella parte di umanità che, dai margini in cui vive, si possa fare portatrice di valori positivi. Insomma, la voglia di sperare, nonostante tutto.
Voto: 4/5
Magazine Animazione
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