Pordenone/ Convegno. “Kosovo e Metochia. Alla ricerca delle radici identitarie europee”

Creato il 19 marzo 2013 da Antonio Conte

Un filosofo, un saggista, un monaco ortodosso per parlare di Balcani, snodo tra l’Europa mediterranea orientale e quella occidentale, terre di guerre infinite che continuano a lasciare ferite aperte tra il disinteresse generale. Massimo Cacciari, Andrea Marcigliano e Padre Andrej, direttore del seminario ortodosso di Prizren, si sono confrontati nel convegno “Kosovo e Metochia. Alla ricerca delle radici identitarie europee” che si è tenuto sabato 15 dicembre 2012 nella sala consiliare della Provincia di Pordenone, evento organizzato da “Love”, associazione di volontari che opera nel nord Italia, e gli “Amici di Decani”, che si occupano di salvare il monastero di Visoki della regione, patrimonio Unesco.

L’importanza di questo incontro era di riportare l’attenzione degli osservatori in questa parte di dorsale europea continuamente in ebollizione, in procinto di esplodere in qualsiasi momento – riportano le ultime analisi degli specialisti della Difesa – e vanificare così in pochi istanti il grande lavoro di tante nazioni costruito sulle macerie della guerra del 1999.

Le parole di padre Andrej e un breve filmato hanno introdotto e presentato la situazione del Kosovo. Sullo schermo sono scorse le immagini sullo stato delle cose esistenti prima dell’intervento della Nato, che bombardò la Serbia nel 1999. Testimonianze e documenti hanno mostrato i tanti edifici, chiese e monasteri ortodossi ora distrutti o danneggiati da parte dei kosovari albanesi, che di fatto perseguono una pulizia etnica nei confronti della minoranza serba sempre più esigua, nonostante la nutrita presenza di istituzioni europee e internazionali, così come dei contingenti militari che ancora presidiano l’area.

Per il filosofo CacciariIl problema culturale storico è alla base di ogni geopolitica, e in questo caso, prima di prendere in considerazione i Balcani, bisogna pensare all’Europa che si è formata con Roma prima, con Istanbul dopo e con Mosca che ha ereditato in seguito le insegne di Roma imperiale”. Risalire alle radici del problema, pensare a cosa sono state le tre Rome e i limes che le hanno definite, è per il filosofo condizione essenziale per capire e definire la coscienza identitaria europea. “L’importanza delle tre Rome è una questione che va pensata e rivista, ma non può essere ignorata o non riconosciuta dall’Europa – ha proseguito Cacciari -, perché, in questa triplicità, si inserisce uno snodo fondamentale tra i suoi territori occidentali e quelli mediterranei orientali: i Balcani”.

Per i romani Costantinopoli era greca, mentre i turchi di Istanbul si sono sempre ritenuti gli eredi dell’Impero romano. Una coscienza che i popoli della mezzaluna si sono tramandati fino ai giorni nostri, mentre gli europei occidentali assistono oggi allo scempio e alla distruzione delle testimonianze della cristianità nei Balcani nel totale disinteresse. “In questo abbiamo delle responsabilità – asserisce gravemente il filosofo  – perché sappiamo che dove si cancella la memoria, i luoghi non hanno più identità e diventano prede, delle aree dove si consumano efferatezze e sudici affari. Quello che è stato fatto in Kosovo è stato fatto prima in Iraq dove, nei siti dove è stata distrutta la storia, un luogo vale l’altro, e diviene un’area anonima, di fatto un vuoto da riempire con affari che diventa affare stesso”.

“Alla luce di tutto ciò – continua Cacciariè importante che il governo italiano continui a presidiare e a salvaguardare i monasteri ortodossi in Kosovo ancora minacciati dalla furia iconoclasta albanese, finché non si arriva a una soluzione di pace possibile, anche se il nostro  governo non può fare tutto da solo. Questo per garantire la libertà di culto, religione, la sicurezza – criteri fondamentali degli stati moderni – di tutti gli abitanti del Kosovo che devono vivere senza paure”.

“Gli italiani che detengono un grande patrimonio artistico e culturale, devono a maggior ragione prendere le difese del cristianesimo slavo-serbo-ortodosso – rilancia il filosofo, che è anche membro del direttivo dell’associazione “Amici di Decani” -. E’ un compito politico che va perseguito. Per questo bisogna manifestare di continuo per attirare l’attenzione su questa regione. Il cristianesimo ortodosso è oggi minacciato fino a diventare terreno fertile per il martirio. La stessa circostanza che si sta verificando con i cristiani di Siria nella guerra che infuria in questo stato da oltre due anni, sempre più drammatica, perché se non interviene l’Occidente per far cessare il conflitto, sopravverrà il fanatismo religioso. Una situazione che non riguarda solo il Kosovo, perché sta dilagando ovunque.”

Per Andrea Marcigliano, saggista e osservatore, l’Europa è stata in Kosovo presente e assente nella stessa maniera. “Dopo l’intervento armato del 1999 – asserisce Marciglianoil Kosovo è stato considerato una questione “sistemata” e quindi dimenticata. In questi tredici anni, i militari italiani hanno fanno molto in questo paese, ma è la politica italiana nei Balcani che è mancata, perché non esiste. I Balcani sono delicati per l’Italia: ci separa un braccio di mare, abbiamo affinità culturali, le genti si spostano tra una costa e l’altra. Dal 2008, anno in cui c’è stato quel frettoloso riconoscimento dell’autodeterminazione del Kosovo da parte degli Stati Uniti e i loro alleati, su quella regione è calata una cortina di silenzio. Ma non va tutto bene, anzi – sottolinea il saggista -. Le problematiche e le tensioni etniche lasciate irrisolte sono un rischio per tutta l’Europa, perché il Kosovo è una ferita aperta e può di nuovo infettare tutta l’area. I Balcani sono un coacervo di lingue, culture, popoli, una realtà estremamente complessa e delicata dove l’Europa si è mossa con il tatto di un elefante. Dalla dissoluzione dell’impero austro ungarico fino alle questioni etniche, tutto è stato lasciato irrisolto. Una soluzione per la tutela delle minoranze in Kosovo – suggerisce Marcigliano - potrebbe essere quella che prende esempio dallo statuto speciale di cui gode il Trentino Alto Adige, coinvolgendo nella sua attuazione tutti i Paesi che gravitano attorno alla regione. Se l’Europa non troverà un modo per risolverla, la situazione balcanica potrebbe degenerare da un momento all’altro. Un rischio per l’Europa stessa”.

Su una cosa Cacciari e Marcigliano concordano perfettamente. “Quello che si può fare nell’immediato è continuare a dare credito alle associazioni di volontariato come “Love”, che si spendono per portare aiuti immediati a chi è in condizione di gravi necessità – sostengono i due osservatori In Kosovo il 72 percento dell’economia dipende da aiuti esterni. Questo vuol dire che la regione dipende quasi completamente da stati terzi, prevalentemente europei, che possono far valere il loro peso politico e soprattutto economico per attuare una politica di pace vera. L’apporto umanitario, gli aiuti, le opere delle organizzazioni governative – concludono gli osservatori -, possono essere un modo per premere e intervenire in maniera risolutoria per una buona politica di pacificazione delle genti balcaniche, popoli che sono parte inscindibile dal resto d’Europa”.


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