Aborro in su la scena / un canoro elefante,
Che si strascina a pena / su le adipose piante,
E manda per gran foce / di bocca un fil di voce.
Giuseppe Parini, La musica
strumenti essenziali d’interpretazione e rappresentazione. Interessante è la rimozione dell’enorme presenza artistica, sociale e politica dei cantori evirati nel Sei-Settecento in Italia ed Europa. Purtroppo non pare che l’oblio sia causato dal senso di colpa per aver sacrificato alla vanità del bel canto decine di migliaia di ragazzini espropriati del proprio corpo, della personalità e del dominio sul loro futuro. Provenienti perlopiù da famiglie povere, i maschietti di otto-dieci anni dalle belle voci venivano ceduti a istituti religioni, protettori o maestri di canto che, dopo averli evirati in condizioni dolorose, a volte mortali, li avviavano all’istruzione musicale nei Conservatori.
I conservatori di Napoli. Dal XVII secolo queste istituzioni religiose si presero cura degli orfani insegnando loro diversi lavori ma, per soddisfare una sempre maggiore richiesta, si concentrarono sull’istruzione musicale di compositori e cantori. Dai Conservatori uscì anche un numero notevole di compositori che colonizzarono le corti europee: Alessandro Scarlatti, Nicola Porpora, Leonardo Leo, Francesco Feo, Leonardo Vinci, Giovan Battista Pergolesi, Niccolò Jommelli, Tommaso Traetta, Francesco di Majo, Antonio Sacchini, Niccolò Piccinni, Giovanni Paisiello, Domenico Cimarosa per citare i più noti. Dietro i magnifici campioni dell’arte canora come Farinelli c’è una schiera di bambini inconsapevoli e schiavizzati che vissero e morirono nell’ombra. Meno di uno su cento raggiungeva successo e benessere economico, per tutti gli altri c’era posto nei cori delle chiese di ogni ordine e grado. (C’è una certa ironia nel fatto che i Conservatori conservassero tutto tranne l’integrità fisica dei ragazzini-cantori.)
venne favorita dagli Ospedali, istituzioni che fin dal XIV secolo furono un luogo di effettiva emancipazione femminile. Nel settecento diverse donne formatesi musicalmente in queste istituzioni divennero concertiste e cantanti famose anche in Europa, inserendosi in un ambito di tradizione maschile consolidata.
Ragioni musicali e qualità delle opere serie. Ci sono anche ragioni musicali per l’affermarsi dei cantori evirati: il passaggio dalla polifonia al canto monodico, l’affermarsi del basso continuo e dell’aria come forma del canto che sarà fondamentale nell’opera lirica. La musica sacra sfruttò l’efficacia del canto monodico per divulgare testi e valori evangelici, e il cantore solista evirato fu usato come strumento di comunicazione di massa: la sua voce soprannaturale suscitava una tale meraviglia da generare veri e propri deliri di massa nei fedeli in occasione di particolari celebrazioni liturgiche. D’altro canto l’opera seria italiana, anche se molto popolare, o proprio per questo, non ebbe particolari qualità artistiche: “L’immensa diffusione dell’opera nel Settecento è spesso sproporzionata al suo reale pregio artistico. La retorica più convenzionale e artificiosa domina i libretti dell’opera seria, che si sforzano di portar sulla scena le grandi passioni e i fatti memorabili dell’antichità. […] Vi signoreggiano elementi extra-musicali: virtuosismo canoro, il famoso bel canto, col ben noto seguito di arbitrii e deformazioni dei cantanti, capricci di prime donne, idolatrie di tenori e castrati, il «divismo», insomma; […] scomparsi quasi del tutto i cori, atrofizzata la funzione dell’orchestra, l’opera diventa un alternarsi monotono di recitativi sempre uguali che nessuno ascolta e di arie incuranti dei valori espressivi del testo, banchi di prova per l’ugola dei virtuosi“ (Massimo Mila).
Memorie di un libertino. Nelle sue Memorie Giacomo Casanova racconta della sua attrazione per il castrato Bellino, che però si rivela una ragazza. Le cantanti travestite da uomo non dovevano essere infrequenti se i castrati erano molto più richiesti e pagati di loro. La perspicace ragazza, che indossa addirittura un pene finto, incalza Casanova dicendo “Come può illudersi, intelligente com’è, di poter smettere di amarmi scoprendo che sono uomo?” Invece il dialogo che segue è intriso di ipocrisia ecclesiastica e attrazione omoerotica:
- Non sarebbe possibile senza dar scandalo invitare a cena a quattr’occhi una bella cantante. Invece si può offrire la cena a un castrato senza che nessuno dica niente. Tutti sanno naturalmente che dopo cena ci si va a letto, ma ciò che tutti sanno viene da tutti ignorato. In fondo si può dormire con un uomo per pura amicizia. Lo stesso non accade con una donna.
- Vero, monsignore, le apparenze sono salve, e un peccato nascosto è mezzo perdonato, come dicono a Parigi.
- A Roma diciamo che è del tutto perdonato: peccato nascosto non offende.
Il Porporino di Fernandez. Per concludere faccio un passo di lato parlando del bel romanzo Porporino, ovvero i misteri di Napoli di Dominique Fernandez, origine del mio interesse per questo argomento. L’autore finge di aver ritrovato un antico manoscritto e una Nota del curatore all’inizio del libro spiega le ragioni di interesse delle memorie, che hanno ispirato alcuni argomenti sopra citati. Un accenno alla protesta hippy permette di collocare il ritrovamento nel tempo (il libro uscì in Francia nel 1974). Non c’è perfetta corrispondenza fra personaggi storici e romanzeschi ma l’invenzione letteraria permette una visione ravvicinata e affettuosa di uno di questi ragazzini che ebbe una vita lunga e piena d’incontri. Suo tramite vediamo le persone e la società che lo circondano dal di dentro, dove la Storia latita l’arte stupisce con verosimiglianza e fantasia intelligente.
Fra gli incontri più toccanti c’è quello con il Mozart quattordicenne che giunge a Napoli nel 1770. Sfuggendo per un attimo allo stretto controllo del paterno Mozart si è presentato con un nome falso all’altezzoso duca di Cattolica, spunto del breve dialogo con Porporino che mostra la toccante sensibilità mozartiana:
- Trazom, che strano nome, dico io [Porporino].
- Non è così strano, risponde [Mozart].
- Perché non avete voluto presentarvi al duca col vostro vero nome? […]
- Perché? Perché? Perché i padri costringono i figli a portare al petto un pezzettino d’oro che non hanno chiesto? Perché delle persone alle quali non importa nulla della mia musica siedono per un’ora su queste seggiole e fanno finta di ascoltare? Siete sempre completamente vero con voi stesso? Vi riconoscete in ogni cosa che fate? E poi, come vi chiamate?
- Oh, io, dico arrossendo, per me è tutto diverso. Io per un certo verso non conto.
- Non contate?
- Mi chiamo Porporino. Sono un castrato, capite?
- Lasciate che vi abbracci! esclama allora stringendomi al petto e coprendo le mie guance di baci. Poi indietreggia di un passo, sempre tenendo fra le sue le mie mani che stringe con affetto. E senza notare apparentemente il mio stupore aggiunge queste misteriose parole: – Voi avete smesso per sempre di essere figlio, voi! Oh, come vi invidio! Porporino… È un nome che vi siete scelto, vero? Ma io cosa posso sperare per bene che vadano la cose? Trasformare Mozart in Trazom!
Per approfondire: Dominique Fernandez, Porporino ovvero i misteri di Napoli, (Colonnese editore, 2002); Luca Scarlini, Lustrini per il regno dei cieli, ritratti di cinque evirati cantori (Bollati Boringhieri, 2008); Giovanni Sole, Castrati e cicisbei, ideologia e moda nel settecento italiano (Rubbettino editore, 2008); Dominique Fernandez, Il ratto di Ganimede, la presenza omosessuale nell’arte e nella società (Bompiani, 2002).
Giancarlo Zaffaroni
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Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 21 – Dicembre 2014.
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