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Porte aperte, Leonardo Sciascia

Creato il 15 marzo 2016 da Funicelli
Porte aperte, Leonardo Sciascia Le prime righe:
«Lei sa come la penso» disse il procuratore generale. Perfetto cominciare: di chi non si sa come la pensa, e se la pensa, e se pensa. Il piccolo giudico lo guardò con soave, indugiante, indulgente sonnolenza. E il procuratore se lo sentì sulla faccia, quello sguardo, come una volta, bambino, la mano di un suo parente vecchio e cieco che voleva – disse – vedere a chi dei più anziani della famiglia somigliasse. [..]Ora, da quello sguardo, fastidio e inquietudine. A chi voleva assomigliarlo, il piccolo giudice? E si pentì di quella frase che voleva aprire un discorso confidente, quasi amichevole. Ma non trovò di meglio che rivoltarla. Disse: «So come lei la pensa».
Una premessa d'obbligo. Sempre più di frequente mi capita di imbattermi, leggendo i post sulle bacheche degli amici e i loro tweet, di immagini e frasi inneggianti al duce, il cavalier Benito Mussolini e al presunto periodo d'oro del ventennio fascista. Uno in particolare mi aveva colpito: “durante il fascismo si dormiva con le porte aperte, oggi dobbiamo stare attenti a ladri e criminali ...”. Pensavo, lo confesso ingenuamente, che certe pericolose sciocchezze fossero morte e sepolte dopo decenni di progresso e crescita culturale. Evidentemente mi sbagliavo: riprendendo Sciascia, non solo la linea della Palma ha passato e abbondantemente la linea del Po. Anche il livello dell'ignoranza ha portato ad una regressione di una parte significativa di italiani. Ignoranti e felici nelle loro certezze: Mussolini e il fascismo che aveva portato la sicurezza nel paese, il benessere, le pensioni .. e l'elettrificazione, la bonifica dell'Agro Pontino. Leonardo Sciascia, in questo racconto (corto, ma come sempre denso nel suo messaggio etico al lettore), aveva già affrontato il tema. Ambientato a Palermo (già “città irrimedibile”) nel 1937, “Porte aperte” si ispira ad una storia vera avvenuta sempre a Palermo: un omicidio particolarmente efferato, un impiegato che uccide a colpi di baionetta, la moglie "l'uomo che dell'assassino aveva preso il posto nell'ufficio da cui era stato licenziato; l'uomo che, al vertice di quell'ufficio, ne aveva deciso il licenziamento”. Quest'ultimo era un gerarca del partito fascista, presidente dell'ordine degli avvocati provinciali e presidente dell'Unione Artisti, persona certamente stimata in quanto gerarca (tanto che il futuro ministro Pavolini si costituisce parte civile al processo). Processo su cui pesano tutte le attenzioni del partito che pretende dai giudici della Corte d'Assise una pena esemplare, anzi LA pena esemplare: la pena di morte che il codice Rocco ha da poco introdotto nel codice penale. Sciascia racconta la storia di questo processo attraverso il “piccolo” giudice a latere della corte, “il dirlo piccolo mi è parso ne misurasse la grandezza”. Nel dialogo iniziale col Procuratore Generale, costui gli espone il problema della pena capitale, di ciò che il partito fascista si aspetta:
«Ma torniamo al punto .. Qui, lei sa, corre l'opinione che da quando c'è il fascismo si dorme con le porte aperte ..»«Io chiudo sempre la mia» disse il giudice.«Anch'io: ma dobbiamo riconoscere che le condizioni della sicurezza pubblica, da quindici anni a questa parte, sono notevolmente migliorate. Anche in Sicilia, malgrado tutto. Ora, quali che siano le nostre opinioni sulla pena di morte, dobbiamo ammettere che il ripristino serve a ribadire, nella testa della gente l'idea di uno Stato che si preoccupa al massimo della sicurezza dei cittadini: l'idea che, ormai, si dorma con le porte aperte».
Quanto era falsa questa menzogna delle porte aperte: la dittatura pretende dai suoi sudditi le porte aperte per poterli meglio spiare, meglio controllare, per impedire che le persone, al chiuso nelle loro case, chissà cosa possano mettersi a pensare .. Porte aperte per le persone, mentre chiuse, strettamente blindate le porte del potere, poco trasparenti i muri dei palazzi del potere. Dove il dittatore solitario decide le sorti del paese:
Le porte aperte. Suprema metafora dell'ordine, della sicurezza, della fiducia: «Si dorme con le porte aperte». Ma era, nel sonno, il sogno delle porte aperte, cui corrispondevano nella realtà quotidiana, da svegli, e specialmente per chi amava star sveglio e scrutare e capire e giudicare, tante porte chiuse.
E principalmente erano le porte chiuse dei giornali: ma i cittadini che spendevano ogni giorno trenta centesimi di lira per acquistarlo, due su mille nel popolatissimo sud, di quella porta chiusa non si accorgevano se non quando qualcosa accadeva sotto i loro occhi, qualcosa di grave, di tragico, e ne cercavano la notizia o che non trovavano o che trovavano impudicamente imposturata (la parola non è di buon uso, lo sappiamo;..)”.
I giornali, chiaramente, non avevano dato notizia dei tre omicidi: “nessun omicidio c’era stato: della moglie non si parlava; e gli altri due eran morti improvvisamente sì, ma di natural morte.” Infatti ai tempi del fascismo non si uccideva e non si rubava e i pochi ladri venivano subito acchiappati dalla polizia e la magistratura era chiamata a dare loro una pena esemplare. E gli italiani? Erano fascisti tanto quanto erano cattolici, ovvero coi gagliardetti, con le camicie nere, tanto come assidui frequentatori della messa domenicale, fino al ite missa est. Ma cattolici assai poco praticanti e fascisti che, se domandati singolarmente, anche poco credenti: sugli italiani il “piccolo” giudice pensava che
“Non si erano mai posto il problema di giudicare il fascismo nel suo insieme, così come non se lo erano posto nei riguardi del cattolicesimo. Erano stati battezzati, cresimati, avevano battezzato e cresimato,..”.
Ma mentre il cattolicesimo rimaneva sempre fermo lì, immobile (e incline a perdonare i peccati delle pecorelle smarrite), “il fascismo no: si muoveva, si agitava, mutava e li mutava nel loro sentirsi – sempre meno – fascisti”. Il partito fascista “diventava sempre più obbligante, nell’esservi dentro; e sempre più duro, nell’esservi fuori”. L'alleanza con la Germania di Hitler, l'autarchia dopo le sanzioni della Società delle Nazioni, per la conquista dell'Abissinia (a che serve avere un impero se le condizioni di vita peggiorano?). Queste le riflessioni che fa sue il giudice che, nel corso del processo, ha modo di conoscere un giurato, un agricoltore con la passione per la lettura. Anche grazie al suo appoggio, in Camera di consiglio riesce ad attenuare la pena al “solo” ergastolo, non credendo egli nella pena di morte, un omicidio di Stato concepito per tranquillizzare l'opinione pubblica (che poteva così dormire con le porte aperte, sapendo che gli assassini venivano liquidati in questa maniera dal fascismo). Sà, il giudice, che questo gli costerà la carriera: ma, in un incontro con questo agricoltore, racconta che avrebbe potuto sottrarsi al processo, per non dover sentirsi costretto alla scelta sulla pena di morte. Oppure poteva seguire i consigli del procuratore generale: ma questa scelta (un gesto contro la pena di morte) è stata "il punto d'onore della mia vita, dell'onore di vivere". Il libro si chiude con un nuovo confronto col procuratore generale: la parte civile ha fatto appello alla Cassazione per avere un nuovo processo che probabilmente si concluderà con la condanna a morte. E lei, rinfaccia il procuratore al giudice, avrà solo prolungato l'agonia dell'imputato (di cui nel libro non si fa mail nome): no, non è vero, la risposta. Ha fatto valere i suoi principi, la sua visione della legge, l'assurdità della pena di morte.
Il procuratore si passò il fazzoletto sulla fronte, quasi gli avvenisse di sudare, in quella stanza gelida.«Ma l'agonia» continuò il giudice «è uno stato, propriamente, nel giusto senso della parola, in cui la vita ha più parte che la morte; e posso anche ammettere, dunque, che la sentenza gliel'abbia prolungata. Ma ecco: o questa nostra vita è soltanto caso e assurdità e vale soltanto in sé, nelle illusioni in cui la si vive, al di qua di ogni altra illusione, e dunque il viverla ancora per qualche anno, per qualche mese o addirittura per qualche giorno, appare come un dono: così come ai malati di cancro o di tubercolosi, assurdamente nell'assurdo; o è invece parte, questa nostra vita, di un disegno imperscrutabile: e allora varrà, quest'agonia, a consegnare quest'uomo a un qualche aldilà con più pensieri, con più pensiero, magari con più follia, se non vogliamo dire con più religione».«Ma questo, il più pensiero, il più religione, come lei dice, penso che gli accadrà, con una intensità senza dubbio più dolorosa ma al tempo stesso, come dire?, più liberatoria, in quelle due o tre ore in cui sa che sta per andare a morire».«Eh no, la morte non è più un pensiero, in quel momento; nulla anzi, in quel momento, che possa dirsi pensiero. Lei provi, per quanto può, e sarà sempre a un grado lontanissimo, ad immedesimarvisi».«Ma non le pare di star trovando alibi per sé, per la vanità, diciamolo pure, della sua protesta dentro un contesto che non la permette se non caricando di maggiore sofferenza l'essere umano su cui lei ha concentrato la difesa di un principio e che, insomma, nella difesa del principio lei non ha fatto conto della sofferenza di quell'uomo?».«È vero che in me la difesa del principio ha contato più della vita di quell'uomo. Ma è un problema, non un alibi. Io ho salvato la mia anima, i giurati hanno salvato la loro: il che può anche apparire molto comodo. Ma pensi se avvenisse, in concatenazione, che ogni giudice badasse a salvare la propria...».«Non accadrà: e lei lo sa quanto me».«Sì, lo so: e questa è la controparte di spavento, di paura, che io sento non soltanto riguardo a questo processo... Ma mi conforta questa fantasia: che se tutto questo, il mondo, la vita, noi stessi, altro non è, come è stato detto, che il sogno di qualcuno, questo dettaglio infinitesimo del suo sogno, questo caso di cui stiamo a discutere, l'agonia del condannato, la mia, la sua, può anche servire ad avvertirlo che sta sognando male, che si volti su altro fianco, che cerchi di aver sogni migliori. E che almeno faccia sogni senza la pena di morte».«Una fantasia» disse stancamente il procuratore. E poi stancamente constatò: «Ma lei continua ad essere spaventato, ad aver paura».«Sì».«Anch'io. Di tutto».

La scheda del libro sul sito di Adelphi e su wikipedia (qui trovate tutte le citazioni prese).
I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon PS: Continuerò a vedere sui social le frasi di Mussolini, le solenne sciocchezze degli ignoranti che postano cose senza avere una conoscenza della storia, della dittatura, dei diritti negati agli italiani.
Ma non me ne starò zitto, perché voglio stare sveglio e capire e poter giudicare ..

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