Portella: a braccetto con la mafia

Creato il 22 aprile 2012 da Casarrubea

Giuseppe Casarrubea

Il giorno successivo alla strage di Portella della Ginestra si riunì l’Assemblea Costituente, alla presenza di tutti i padri fondatori della Repubblica. Furono allora presentate molte interrogazioni al ministro dell’Interno, Mario Scelba, per sapere quali informazioni egli avesse sulla strage e quali provvedimenti intendesse adottare per colpire i responsabili. La risposta del ministro è stupefacente. Sostiene di avere mobilitato tutte le forze di polizia, che 74 persone sono state già arrestate e che altre 14 risultano ricercate. Aggiunge che “a giudicare dalle modalità del delitto, non è difficile immaginare i moventi e le finalità.” Dà quindi un indirizzo alle indagini ben preciso: “Il delitto si è consumato in una zona fortunatamente limitata – e sarebbe estremamente ingiusto generalizzare a tutta la Sicilia – in cui persistono mentalità feudali sorde e chiuse, che pensano di ripagarsi con l’imboscata o con una bravata fatta eseguire da arnesi da galera per torti ricevuti”.  Precisa poi: “Non è una manifestazione politica questo delitto: nessun partito politico intende organizzare manifestazioni del genere, non fosse altro perché è facile immaginare che i risultati sarebbero nettamente opposti a quelli sperati. Si spara sulla folla dei lavoratori non perché tali, ma perché rei di reclamare un nuovo diritto. Si vendica l’offesa, così come si sparerebbe su un singolo, per un qualsivoglia torto ricevuto, individuale o familiare. Con analoga mentalità – prosegue – anche se con moventi e finalità diversi, in altre regioni d’Italia si uccidono da altri criminali e con forme analoghe di banditismo, i proprietari. Lo dico a difesa della mia Isola, i cui avvenimenti sono spesso presentati in termini di eccezionalità che nulla hanno a che vedere con la realtà isolana, non diversa da quella del resto d’Italia.”

Per Scelba le cause della strage sono riposte tutte nelle mancate trasformazioni fondiarie della Sicilia, nelle sue “forme di banditismo feudale” . La strage, dunque, deve essere interpretata, a suo modo di vedere, come un fatto circoscritto, legato a residui di una condizione arcaica e superata.

E’ invece un fatto nuovo e moderno, una nuova strategia volta a mantenere inalterata l’eredità del fascismo o, nel migliore dei casi, a costruire un blocco sociale di destra basato sulla reazione armata contro la costante vittoria delle forze democratiche e antifasciste.

Il “modo politico” con cui Scelba, replica Li Causi, ha voluto esprimere un giudizio sugli avvenimenti siciliani, “deve essere nettamente respinto da ogni cittadino onesto, indipendentemente dalla fede politica o religiosa.” Il dirigente comunista attacca quindi la retorica sicilianista, difende i recenti risultati delle elezioni regionali del 20 aprile e quel popolo democratico e unitario che alle elezioni ha conquistato la maggioranza relativa dei consensi. Espone, poi, la sua testimonianza diretta su quel mondo di lavoratori, donne e bambini colpiti dalla violenza delle armi.  

Per capirne la natura basti un’attenta lettura del brano di discussione tenutasi quel 2 maggio alla Costituente, in cui i riferimenti corrono al ruolo della componente eversiva del partito monarchico e a quelle, mai valutate a sufficienza, granate esplose quella mattina sul pianoro di Portella, all’oggettivo accerchiamento della folla in festa. O, in ultimo, allo scopo ultimo della strage. Li Causi è ben esplicito: provocare la guerra civile. E, di conseguenza, un colpo di mano di natura militare.

“Ho visto – dice Li Causi – una bambina di tre anni trucidata, cinque orfani impietriti dall’orrore, attorno alla madre morta. Ho visto una vecchia di settantatre anni ferita, ho visto giovani di sedici anni con la carni lacerate. E raccontava quella vecchia in siciliano: ‘Quando ho sentito sparare, ho battuto le mani, perché credevo che fossero i mortaretti di gioia”. “Dalla Portella della Paglia – spiega – si entra nel piano della Ginestra dove c’è un sasso sacro alla memoria di Nicola Barbato; ed è dal 1894 che ogni anno, su quel pianoro, i contadini di San Giuseppe Jato, partendo da est, i contadini di Piana dei Greci partendo da ovest, con le famiglie, i muli bardati a festa, con le vivande, si riuniscono per festeggaiare il primo maggio.

E i contadini di Piana dei Greci, per venti anni, durante il fascismo, hanno conservato il labaro del fascio del 1894 che oggi torna a risplendere al sole.

Ebbene, è su questa folla innocente e gioiosa che dai due costoni, La Cometa e La Pizzuta, sono partite raffiche di mitragliatrice. Le prime vittime del fuoco micidiale sono stati i muli che facevano siepe come negli accampamenti dei pionieri. Aggiustato il tiro, incominciarono ad essere falciate le vite umane. Un particolare che si acclarerà, ma che già è stato fatto presente alle autorità: il maresciallo dei caraninieri di Piana dei Greci, in un feudo dietro la Pizzuta ‘schiticchiava’: in siciliano vuol dire che si divertiva a mangiare con i mafiosi della zona. I nomi dei probabili organizzatori della strage sono corsi sulla bocca di tutti e noi li facciamo, perché li abbiamo fatti sulla stampa e i contadini della zona li conoscono, e li conosce anche l’onorevole Bellavista. Sono i Terrana, gli Zito, i Bosco, i Romano, i Troia, i Riolo-Matranga; sono i capimafia, sono i gabelloti, sono gli esponenti del partito monarchico e del blocco monarchico liberal-qualunquista di San Giuseppe Jato. (Interruzioni e proteste a destra- Rumori- Scambio di apostrofi).

Bellavista- Siete voi gli assassini!

Giannini- Il giornalista Li Causi non ha diritto di parlare qui! E’ un diffamatore! Ha quaranta querele per diffamazione (Rumori).

Li Causi- Assassini erano dei qualunquisti!

Presidente- Onorevole Giannini, lasci parlare l’onorevole Li Causi. Chiederà dopo la parola per fatto personale, alla fine di questa discussione.

Giannini- Sta bene, la chiederò.

Li Causi- Onorevole Bellavista, lei conosce i mafiosi di San Giuseppe Jato; lei sa che, dopo uno dei suoi numerosi comizi a San Giuseppe Jato, il mafioso Celeste ebbe a dire ai contadini: ‘Voi mi conoscete: chi voterà per il blocco del popolo non avrà né padre né madre!’.

Molti bambini di Piana e di San Giuseppe Jato oggi non hanno né padre, né madre. Smentite se avete il coraggio!

Giannini- Qualunque cosa diciate voi, è una menzogna- (Rumori).

Li Causi- Come è possibile che un fatto di tale enorme gravità, così inaudita, abbia potuto accadere, un fatto che desta orrore nella comune coscienza? Come è possibile che una tale strage mostruosa abbia potuto essere premeditata e freddamente organizzata? Siamo di fronte a un fatto che mostra la decisa volontà di provocare in Sicilia la guerra civile, di mantenere, specialmente dopo il responso del 20 aprile, l’Isola in uno stato di tensione, di torbida agitazione.

Ed il ministro Scelba dovrebbe sapere, tranne che i suoi funzionari non lo informino, che proprio dopo il 20 aprile si sono intensificate le provocazioni politiche, le intimidazioni contro i lavoratori. La mattina del primo maggio, sia a San Giuseppe Jato, che a Piana dei Greci, delinquenti che si fregiavano del distintivo dell’Uomo qualunque, hanno avvertito: fate la festa stamane, vedremo chi riderà stasera. (Proteste a destra- rumori-scambio di apostrofi fra la destra e l’esprema sinistra).

Presidente. Facciamo silenzio, onorevoli colleghi!

Li Causi- Ebbene, vogliamo dire che se si vuole stroncare alla radice questa mala pianta della delinquenza politica al soldo degli agrari e il mafioso gabelloto sfruttatore dei contadini, ed in particolare in quella zona dove la lotta dei contadini è stata aspra, onorevole Scelba, liberateci dagli alti funzionari addetti alla polizia, profondamente compromessi con i monarchici prima e dopo il 2 giugno come siete stato informato; e liberateci da quei marescialli dei carabinieri che in questi posti vanno a braccetto con i mafiosi mentre respingono costantemente e cercano di mettere in galera con ogni pretesto il segretario della sezione comunista, della sezione socialista, i segretari dei partiti democratici, il segretario della Camera del Lavoro…”.


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