Parliamo di Bruxelles. Sono stata a lungo indecisa se scriverne e cosa. Perché l'urgenza dei fatti ieri imponeva di più lo sgomento e la cronaca.
Perché abbiamo un volo prenotato proprio per la capitale belga tra un mese e per la prima volta, dopo questi attentati a Bruxelles, non so se partire o no, e ti accorgi che tutto quello che hai sempre scritto e detto, tra gli amici e per lavoro, e cioe' che non bisogna permettersi di farsi fermare, quando ti bussa alla porta cambia tutta la prospettiva. Perché il pensiero oscilla tra il desiderio di non cedere alle paure e il timore di andare a disturbare l'equilibrio precario di una città ferita. E poi perché in questi casi sembra che tutti si sentano chiamati a dire la loro e io non volevo farlo cosi', solo per " convenzione".
Stamattina però ho trovato ciò che avrei scritto di Bruxelles: la collaborazione, la speranza e la solidarietà, quella che già avevamo visto a Parigi e che torna, con gli abitanti di Bruxelles che aprono le loro case e le loro auto per offrire ospitalità temporanea e un passaggio a chi è rimasto bloccato in giro per la città. Il bello della rete che da virtuale diventa umana.
#BrusselsLift è l'hashtag che chi era in giro in città ha lanciato per offrire un passaggio in auto ai viaggiatori rimasti a terra dopo le due bombe esplose all'aeroporto Zaventem di Bruxelles. E appunto come in occasione degli attentati di Parigi i belgi hanno aperto le porte di casa propria, lanciando gli hashtag #ikwillhelpen ( voglio aiutare) e #PorteOuverte per offrire ospitalità temporanea e - forse - un po' di tranquillità.
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