di Pierluigi Montalbano
Cadice è una città sorta su un isoletta oltre lo Stretto di Gibilterra. I Levantini vollero fortemente un centro nell’Atlantico perché passare attraverso lo Stretto di Gibilterra era difficile a causa delle correnti fortissime di Mediterraneo e Atlantico che si incontrano. Le fonti raccontano che Cadice fu fondata commercialmnente solo al terzo tentativo perché i primi due si rivelarono proibitivi. La prima volta i naviganti fenici si fermarono ad Almuñecar (Sexi) e fecero delle offerte sacrificali a Melqart, ma gli dei non si mostrarono favorevoli. La seconda volta superarono Gibilterra e si fermarono a Huelva, fecero i sacrifici ma anche questa volta gli dei non furono favorevoli. Solo al terzo tentativo Melqart diede segnali positivi.
Cadice (Gadiz) si trova davanti a una fertile piana racchiusa da due fiumi, Guadalquivir e Guadalete, all’epoca in mano ad una popolazione locale. La zona è montagnosa e impervia ma presenta giacimenti ricchissimi di argento e altri metalli. I Tiri preferirono accordarsi con gli indigeni e organizzarono un commercio con i capi di quei territori scambiando minerali, pelli, sale e schiavi. La materia prima era estratta dagli indigeni e alleggerita dalle impurità per renderla più agevole da trasportare in nave verso oriente. In cambio offrivano prodotti di lusso, gioielli, olio, vino, profumi e unguenti, comprese le anfore che li contenevano. Gli autoctoni assunsero consuetudini e lussi tipici della cultura orientale e in molte necropoli gli archeologi scavano gioielli, bronzetti e avori straordinari, acquisiti dalle elìte indigene. Lo sfruttamento dell’argento avveniva nelle aree interne, i centri di scambio più importanti sono: il Castillo de Doňa Blanca, Huelva, Carmona, Tejada la Vieja e Sèrro Salomòn.
Il Castello de Doňa Blanca è un insediamento costiero indigeno posto di fronte all’isoletta di Cadice, e diventa il suo porto sulla terraferma. All’inizio il centro indigeno subisce una forte influenza fenicia. Possiede un sistema di fortificazioni poderose e presenta una precoce presenza levantina, infatti le più antiche attestazioni archeologiche (670 a.C.) non sono a Cadice ma proprio in questo centro, anche se a Huelva sono stati scavati cocci fenici che risalgono al IX a.C.
Nell’VIII a.C. Cadice, avvia scambi pacifici con l’area lungo il fiume Guadalquivir. I commerci proseguono più a nord, verso le isole Cassiteridi in Bretagna e Cornovaglia. Anche il Portogallo era in mano indigena e l’irradiazione fenicia si manifesta con commerci e scambi. In Portogallo nel VII a.C. fondano un piccolo mercato dotato di approdo nell’istmo del rio Sado, Abul. Altri piccoli insediamenti costieri, funzionali ai rapporti con gli indigeni, sono stati scavati recentemente e testimoniano l’interesse dei mediterranei per queste terre. I commercianti orientali sfruttavano la conoscenza dei territori da parte degli indigeni per approvvigionarsi delle risorse locali. Più tardi fortificarono i porti e le coste perché Cartagine iniziò una serie di manovre militari per la conquista armata degli approdi. Nel corso del VII a.C. Cadice si spinge a sud, nell’area Marocchina, per lo sfruttamento della pesca. Anche Huelva è un centro indigeno costiero. Ci sono attività industriali con forni e strutture metallurgiche. A Tejada la Vieja, un centro indigeno dotato di approdo, c’è un poderoso muro di fortificazione costruito per difendersi dagli attacchi.
Cadice
Oggi la città ha perso i requisiti originali. E’ urbanizzata intensamente e la continuità di vita è ininterrotta. La morfologia del territorio è cambiata: non è più un’isoletta, oggi è una penisola attaccata alla costa. Sul lato mare, quello occidentale, c’è stata una profonda erosione a causa della forza dell’Atlantico che ha causato il crollo di parte della costa a mare. Non abbiamo dunque tracce delle strutture di quella zona.
Sul lato orientale c’è stata un’attività di progressivo deposito di terra per l’apporto dei detriti alluvionali del fiume che hanno provocato l’avanzamento della costa e l’unione con l’arcipelago. Le fonti raccontano che Cadice sorgeva su due isole, Erytheia a nord, sede dell’abitato, e Kotinoussa a sud, sede della necropoli e del tempio principale. La data di fondazione commerciale proviene dalle fonti classiche e si riferisce a 80 anni dopo la guerra di Troia, corrispondente al ritorno degli Eraclidi in Grecia. La stessa fonte riferisce anche di Utica in Tunisia e Likud in Marocco, ma le tracce dei fenici in queste zone sono attestati solo dall’VIII a.C.
Le due isole, Erytheia e Kotinoussa, erano separate da un porto-canale, La Caleta, scoperto recentemente. Forse è sede di un porto-canale come quello di Tiro. Su Erytheia abbiamo poche tracce a causa dell’urbanizzazione, tuttavia sappiamo che nella zona più alta dell’isola c’erano l’acropoli e un tempio dedicato a una divinità femminile, probabilmente Astarte, perché nelle fonti quest’isola è denominata Afrodìsia: isola dedicata ad Afrodite o Giunone. Sono stati rinvenuti bruciaprofumi a forma di testa femminile e alcune terrecotte con figure femminili.
A Kotinoussa la necropoli era localizzata nell’area Puèrtas de Tièrra, nell’estremità settentrionale, dove sono stati ritrovati sarcofagi antropoidi con gioielli simili a quelli di Tharros. La separazione di acropoli e necropoli, spesso divise da un corso d’acqua, è un elemento che troviamo spesso negli insediamenti fenici. Il distacco dalla vita era marcato anche geograficamente e a Kotinoussa c’era un braccio di mare che separava il mondo dei vivi da quello dei morti. Mentre in Oriente le sepolture erano a incinerazione e inumazione, senza che uno dei riti prevalesse sull’altro, in Occidente l’incinerazione prevale fino all’avvento di Cartagine. A Cadice le tombe fenicie più antiche sono del VII a.C. e presentano il rito dell’incinerazione primaria e secondaria in fosse scavate nella roccia. In età punica abbiamo, invece, la prevalenza dell’inumazione, con sepolture in cassoni di pietra sistemati in grandi fosse.
Queste tombe sono realizzate con lastre litiche regolari poste a coltello che delimitano e foderano la fossa. Altre lastre sono giustapposte a copertura. Vi sono anche gli ipogei e le tombe a camera. A Cadice non si utilizzavano urne e il corredo era deposto successivamente: oggetti utilizzati nel rituale funerario, gioielli e amuleti. Col passaggio all’inumazione si ha un cambio di sepolture: a fossa, a camera e a cassone. Queste ultime, numerose, sono state scoperte dentro fosse profonde distrutte da scavi per la moderna urbanizzazione.
A Cadice è attestata la presenza di due sarcofagi antropoidi del V a.C., uno mascheile e l’altro femminile, con in mano un porta profumi di tipo greco (alabastron). Sono gli unici trovati nel Mediterraneo, insieme ai due trovati in Sicilia (Portella di Mare, di tradizione greca) e ai tre di Malta (in terracotta). A Kotinoussa, è attestato anche un tempio di Krono, oggi interpretato come tempio di Baal Amon, localizzato nella zona occidentale dell’isola, presso il Castello di San Sebastian.
Fonti romane e greche raccontano di un importante tempio di Melkart, ubicato all’estremità meridionale di Kotinoussa a 18 km dalla città posta su Eryteia, ma oggi non abbiamo tracce di questo tempio, verosimilmente sommerso dal mare. Proprio nel mare sono stati recuperati alcuni bronzetti del tipo smiting god, quelli con il Dio Battente sulle nubi. Questa divinità è importante anche in epoca romana, tanto che Traiano e Adriano elevarono un culto imperiale di Eracle Galitano (Eracle greco, Ercole romano e Melqart fenicio sono la stessa divinità). Esiste una moneta con l’effige del tempio, e un’altra descrizione arriva dalle fonti classiche: una grande area con un’imponente struttura con tre altari, in uno dei quali era custodita la fiamma sacra, utilizzata anche per i sacrifici. Le fonti parlano anche di due fonti di acqua dolce e di due colonne di bronzo alte tre metri che fiancheggiavano l’ingresso, come nel tempio di Melqart a Tiro e in quello di Javhè a Gerusalemme. Nella struttura vi sono gli alloggi per l’oracolo, per i sacerdoti e per gli uffici amministrativi.
La zona Mediterranea Andalusa
I porti e gli approdi dell’area atlantica sono differenti da quelli dell’Andalusia mediterranea. L’organizzazione politica ed economica dell’area atlantica vede l’egemonia di Cadice mentre nell’area Andalusa mediterranea vi sono molti piccoli centri che occupano una consistente fascia della zona costiera e sorgono in promontori sulla costa, a eccezione di Cerro de Villar che si trova su un isolotto. Le zone interne erano controllate dagli indigeni. Gli insediamenti sono poco monumentali, privi di infrastrutture realizzate in materiali durevoli. Si notano tracce di muri con zoccolo in pietrame brutto, unito con malta di fango e alzato in mattoni crudi. Gli edifici ospitavano una popolazione dedita alla pesca e ad attività economiche, agricole e commerciali. Si praticava anche la trasformazione del pescato con impianti industriali per la conservazione. Un'altra attività era la tintura delle pelli e dei tessuti con i pigmenti color porpora che si estraevano dai murici. I centri principali sono Cerro de Villar, Toscanos, Malaka, Morro de Mezquitilla, Chorreras, Almuñecar, Adra, Almeria e Villaricos.
L’apporto di materiale fluviale ha allontanato i centri dal mare e oggi le distanze arrivano fino a cinque km. Inglobato nella costa c’è Cerro de Villàr, anticamente un isolotto. Ha restituito documentazione di un’attività redditizia di pesca: tonni che venivano essiccati ed esportati. E’ stata individuata un’officina per la realizzazione di anfore per il trasporto del pesce: un ambiente ospitava il tornio e un altro era utilizzato per l’essicazione dei vasi. La cottura avveniva in forni posti all’esterno. Sono stati ritrovati anche gli strumenti (lisciatoi) per lavorare le anfore. Anche in Andalusia le necropoli erano ubicate nel lato opposto delle foci dei fiumi rispetto agli abitati, a distinguere con un limite fisico i mondi dei vivi e dei morti.
Fra gli approdi importanti segnaliamo Morro de Mezquitìlla, dove sono state ritrovate tracce di lavorazione del metallo e una serie di canne in terracotta (boccolari o tuyers) utilizzate per soffiare aria nei forni allo scopo di aumentare la temperatua. L’ossigeno veniva immesso forzatamente dai mantici attraverso questi tubi. Sono stati ritrovati anche a Tharros e Cartagine. La zona funeraria di Morro de Mezquitilla si chiama Trayamar ed è costituita da 5 sepolture. È datata al VII a.C. e si caratterizza per le tombe costruite in profondità. Sono di tradizione orientale, con una camera funeraria foderata con blocchi squadrati messi in opera a secco. L’accesso alla camera era garantito da una rampa inclinata scavata nella terra. La copertura, attestata in legno solo in queste zone, era realizzata con una trave centrale e un doppio spiovente in tavole. Essendo materiale deperibile non si è conservato nulla, solo gli incastri per le travi.
Almuñecar (Sexi) si trova alla foce di un fiume che ha modificato la linea di costa. Sulla città antica insiste la città moderna e i ritrovamenti sono due delle tre necropoli oltre il fiume. Le uniche tracce dell’abitato sono un impianto di salagione del pesce in località El Majuèlo e le mura dell’VIII a.C. La necropoli Laurita a Cerro di San Cristobal è una delle tre di Almuñecar. Le 20 sepolture, oggi sotto una serie di villette a schiera, si datano intorno al 750 a.C. Si tratta di tombe a pozzo con imboccatura irregolare, ovale, e nel fondo c’è una nicchia, scavata nel lato e coperta da lastre in pietra, contenente il corredo funerario e l’urna cineraria con i resti della bruciatura dei defunti, come nelle altre tombe arcaiche della Spagna. Le urne cinerarie generalmente sono in ceramica, ma in questo sito abbiamo vasi di pregio in alabastro (di importazione egiziana) che conservano il cartiglio in geroglifico con il nome del faraone sotto cui furono realizzati. Sono antichi, della XXII dinastia (IX-VIII a.C.). Non sono importati direttamente dall’Egitto, erano i fenici a mediare i rapporti commerciali, e questi pregiati contenitori erano utilizzati per trasportare olio e vino. Giungevano ad Almuñecar perché il ceto locale era ricco, di rango elevato. i Vasi sono oggi conservati nel museo locale. Ci sono vasi con orlo espanso (a fungo) e con orlo trilobato. Il rivestimento caratteristico mediterraneo orientale fino al 600 a.C. è rossiccio e si chiama “red slip”. Contenente ossidi di ferro, è liscio e compatto e occupa dapprima tutto il vaso, poi solo la parte superiore. Aveva la funzione di impermeabilizzare, quindi nei piatti e nelle lucerne si mantiene anche oltre il VI a.C. per limitare la fuoriuscita dei liquidi. La ricchezza della popolazione è dimostrata anche da un corredo di vasi greci, di produzione corinzia, (Kotilay). I vasi di produzione attica sono chiamati invece Skifoi.
Anche la necropoli di Puente de Noy si trova ad Almuñecar. La sua vita inizia nel VII e prosegue fino al I a.C. Occupa un’area molto vasta, musealizzata, con 170 tombe di diversi tipi. Le più antiche sono a camera monumentale, con blocchi regolari e coperture di legno non conservate. Sulle pareti ci sono gli scalini per scendere. Ci sono anche tombe di età punica scavate in fosse, e si nota il passaggio dal rito dell’incinerazione a quello dell’inumazione. Il resto della necropoli è tradizionale, con semplici fosse parallelepipede scavate nel banco roccioso. Abbiamo anche tombe a camera costruite, con pareti in pietra che foderano la fossa. La copertura era in legno, con trave centrale a doppio spiovente.
Tratto da "Sulla rotta dei Fenici", di Pierluigi Montalbano - Capone Editore, in pubbicazione.
Nelle immagini: carico di relitti commerciali di età fenicio-punica.