¨Hasta luego, pueblo de Guatemala!¨ Con questo saluto, carico di melodrammatica emotività, Alfonso Portillo, ex presidente del paese centroamericano è salito sull’aereo che lo ha portato negli Stati Uniti dove un tribunale dovrà giudicarlo per il reato del riciclaggio di 70 milioni di dollari. Non un addio, ma un arrivederci, un hasta luego che Portillo ha voluto destinare alle centinaia di seguaci che l’hanno accompagnato fino all’aeroporto in quello che, invece, potrebbe essere stato il suo ultimo giorno in Guatemala. La legge statunitense è infatti rigida in quanto al riciclaggio proveniente dal narcotraffico. Portillo rischia fino a venti anni di prigione e non ha certo l’età (61 anni) dalla sua parte per sperare in un pronto ritorno a casa.
La vicenda giudiziaria di Portillo è cominciata appena terminato il mandato presidenziale. Con una schiera di scandali alla porta il ¨Pollo Ronco¨ -come viene popolarmente chiamato per la su voce rauca- aveva immediatamente lasciato il Guatemala per il Messico, dove aveva pensato di poter evitare la giustizia. Corruzione, riciclaggio, peculato, conti all’estero avevano dimostrato come la presidenza di Portillo non fosse altro che una cortina di fumo per una lunga serie di affari illeciti portati al massimo livello dei poteri dello Stato.
Delfino di Ríos Montt, Portillo è stato presidente del Guatemala dal 2000 al 2004, eletto con i voti del Frente Republicano Guatemalteco. Personaggio dal passato torbido –da studente universitario in Messico aveva ucciso due compagni di corso in una rissa da taverna-, Portillo ha incarnato il Guatemala corrotto e asservito a un settore dell’oligarchia plenipotenziaria. Dopo quattro anni di fuga, il governo messicano decise di estradarlo perché rispondesse in Guatemala dell’appropriazione di 15 milioni di dollari di fondi pubblici. Portillo, però, venne assolto nel maggio 2011 dopo un solo anno di carcere per non aver commesso il fatto, a testimonianza di quale ambiente ancora si respiri nelle aule giudiziarie. Paradossalmente, l’assoluzione che lo librava da una condanna in Guatemala, ha aperto la breccia per l’estradizione negli Stati Uniti, alla quale la Corte costituzionale non ha potuto opporsi. Il Pubblico ministero Usa, Cyrus Vance jr., ha le idee chiare su chi sia Portillo: ¨Ha usato il denaro pubblico come fosse stato il suo bancomat, tradendo la fiducia del popolo guatemalteco¨. Parole forti, che vengono dall’estero, per l’incapacità del sistema giudiziario del Guatemala di una linea indipendente, capace di assicurare la giustizia in forma autonoma, senza essere assoggettato al potere politico. Ne è prova il recente caso della sentenza Ríos Montt, cancellata dalla Corte costituzionale.
Portillo ora, e a ragione, ha un diavolo per capello. Dice di essere stato venduto e che la sua estradizione non è altro che un sequestro, operato da un governo straniero con il beneplacito dell’attuale presidente Otto Pérez. Rivalità politiche, l’ostracismo dei settori più conservatori, l’hanno infine consegnato a chi, per una volta, cercherà di fargli compiere una condanna esemplare.
¨È un abuso di potere, tutti i miei diritti sono stati violati¨ ha ancora detto ai giornalisti prima di abbordare l’aereo per New York, un’affermazione subito ricusata dal Ministro dell’interno, Mauricio López, secondo il quale ogni causa pendente era stata risolta, per cui non restava che dar luogo all’estradizione.
Portillo, primo ex presidente guatemalteco a dover presentarsi davanti alla giustizia Usa, rischia di ripetere lo stesso cammino seguito da Manuel Noriega, l’ex uomo forte di Panama. Anche per il Pollo Ronco, infatti, dopo la quasi certa condanna negli Stati Uniti ci sarà una nuova estradizione in Francia, sempre per rispondere dei delitti di peculato e riciclaggio. Lo stesso iter seguito da Noriega, che solo l’anno scorso, a 79 anni, malato e sconfitto, è riuscito a tornare in patria, per finire i suoi giorni in una prigione della capitale.
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