Oggi il Consiglio di Stato si pronuncia sull’ormai annosa vicenda della riconversione della centrale Enel di Porto Tolle. Tra sostenitori e detrattori del carbone pulito, si distinguono i lavoratori dell’impianto per i quali è in ballo il posto di lavoro.
Davanti a Palazzo Spada, sotto un cielo che continua a buttare giù acqua, hanno cominciato a manifestare da stamattina. Difendono il progetto di riconversione, sostengono il carbone pulito e sperano in una decisione favorevole al loro futuro.
In un comunicato diffuso dalle Rsu della centrale Enel di Porto Tolle si legge: “Dopo il percorso condiviso con le istituzioni per la modifica della legge regionale e i tre rinvii nelle precedenti udienze, è urgente la risposta del Consiglio di Stato”. Tra gli striscioni che i manifestanti dedicano ai magistrati si leggono slogan come “Il vostro parere vale 3.500 posti” o “Marchionne in maglione, Monti in loden, noi in mutande”. Le sigle sindacali si appellano “al premier Monti, che ha annunciato 2,3 miliardi di euro pubblici per lo sviluppo del Sud, e al ministro Passera che dice ‘serve crescita per rispondere all’urgenza occupazione’”.
Consapevoli che uno stop del Consiglio di Stato può significare il definitivo tramonto della riconversione sottolineano che “il progetto Enel a Porto Tolle punta su ricerca e innovazione e può essere il più grande investimento cantierabile in Italia con 2,5 miliardi di euro anti-recessione e a costo zero per le casse pubbliche”.
Tutta la vicenda di Porto Tolle ha un che di paradigmatico. Perché pone una domanda essenziale: è davvero impossibile difendere l’ambiente e allo stesso tempo anche i posti di lavoro?






