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Per la serie Cinema da Cazzeggo
Questa donna che ha le fattezze di un viados argentino costretto a prostituirsi è Sarah Jessica Parker.
Uno zoom veloce sulla carriera ci mostra che anche quando ha trovato il giusto film, è stata la cosa peggiore del film o, comunque, più inutile. Per esempio in "Ed Wood" era più femminile Johnny Deep con golfino che Sarah con il medesimo golfino d'angora. Ed è tutto dire. (Vedere sotto).
La svolta nella sua carriera arriva con un serial di sette stagioni, produzione HBO, dal titolo profetico "Sex and the City". Non a caso, ogni puntata del telefilm o quasi contiene una scena di sesso e una veduta sulla City, New York, oltre a continue pubblicità per nulla occulte dei vestiti firmati che, a volte, sfiorano il ridicolo. Di cosa parla "Sex and The City"? In maniera semplicistica, di quattro amiche, sessualmente attive, che ciarlano, a loro volta, di sesso e moda e sono circondate da manzi (epiteto che starebbe bene in bocca a Samantha) e gay macchiettistici, nelle strade e nei luoghi più noti di New York (Il fatto che abbia ripetuto le parole sesso, moda, città vi fa intendere di cosa si tratti).
La Parker è la leader, colei che tiene il filo delle storie. E' il corrispettivo di Candice Bushnell, giornalista e scrittrice con un alter-ego, Carrie Bradshaw. Sul New Observer la Bushnell descriveva la sua vita di party, serate fuori, le sue amicizie, i suoi rapporti, i suoi acquisti personali, nella Grande Mela. Praticamente un lavoraccio da scrittoio leopardiano. Non mi stupirei che la dimora di nascita di questa scrittrice sia diventata luogo di pellegrinaggio, come la Recanati di Leopardi, appunto. La Bushnell, non contenta del suo dolce vagabondare nel mondo della notte e di un giornale che la pagasse per quest'attività, si è dedicata alla scrittura di un romanzo, andato a ruba tra le donne di una certa età, normalmente abitudinarie di saloni di bellezza, ovvero quei luoghi di tortura unisex autorizzati dallo stato per garantire la crescita minima delle nascite. Ma la lista degli acquirenti non finisce qui. Infatti, tra le categorie coinvolte, un'indagine ha monitorato la presenza di un pubblico gay a cui aggiungere una larga fascia di scapoli facoltosi, assidui per captare notizie sui luoghi d'incontro cittadino, o meglio sui bordelli-privè mascherati in qualche locale perbene. Il romanzo si chiama, e aspettatevi l'effetto sorpresa, "Sex and the City". La Parker, insieme ad altre tre attrici, la Nixon androgina, la cariatide Catrall (altro termine estirpato dal film), e la Davis, all'apparenza normale, in realtà molto "Shining", vengono scelte per una trasposizione televisiva degli scritti della Bushnell. Si dice (ma è un rumors) che si fosse presentata la Tatangelo al casting, ma fosse stata giudicata, nonostante la giovanissima età, troppo vecchia per la parte. E così è iniziato il telefilm, apprezzato da critici pagati fior fior di quattrini e con un pubblico di masochisti e ninfomani ambo-sessuali, a cui aggiungere le categorie precedentemente elencate. Con "Sex and The City", trasmesso in Italia da TeleMontecarlo, in seconda serata con tanto di show annesso tanto per aumentare le esigenze libidinose di chi non si accontenta di un minutaggio che non va oltre l'ora, ha conquistato la massa. In realtà, la massa è stata conquistata dalla grande campagna pubblicitaria inerente il primo film. Dopo anni, in cui i giornali menzionavano, a seguito della fine della serie, in una splendida Parigi in cui l'unica cosa che uno ricorda è la terrificante borsa della protagonista a forma di Torre Eiffel, la possibilità di un film, con le attrici che si scornavano l'una con l'altra, nel maggio del 2007 esce il primo lunghissimo capitolo, diretto da Michael Patrick King. Il film, come da copione, fa il botto. E non si tratta del tritolo indossato da molti mariti durante la proiezione. Si narra che una schiera intera di donne avesse cercato di oltrepassare la sicurezza durante la prima, con l'obiettivo di essere toccate da Mr. Big, un nome, un perchè. Dopo il botto, le attrici, consapevoli di non contare nulla, senza il marchio, e speranzose di poter ancora acciuffare vestiti di alta moda omaggio per i propri famigliari e ricorrenze matrimoniali, accettano un secondo film, che vanta due secondi di comparsata di Penelope Cruz e 4 secondi di Miley Cyrus, a cui aggiungere una splendida Liza Minelli, in preda all'uso di sostanze stupefacenti, che balla e canta "Single ladies" di Beyoncè ad un matrimonio gay con le scenografie cghe ricordano le composizioni di "My fair lady", con l'unica differenza che sono orribili. E il successo decresce, le attrici dicono che è tutta colpa dei giornalisti e degli infami che hanno speculato sulla crisi economica per affossarle. Del resto, mostrare quattro galline in menopausa che parlano di sesso, moda, addirittura mandate in Medio Oriente, arrivando a far scorgere sotto i burka delle donne del posto dei vestiti firmati, e arrestate per sesso in luogo pubblico, in un paese islamico, con tanto di profilattici in giro, è realmente troppo. Anche per la patita, per la malata, per la fashion-blogger, per il gay, per il ninfomane, per Barbara D'Urso. Il terzo film non si farà, a quanto detto. Ma tanto il progetto, fra una decina di anni, ritornerà alla luce, sempre che il 2012 non rappresenti la fine del mondo. O meglio del mondo da business-market di prodotti del genere.
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