Portsmouth FC, il viaggio all’inferno e ritorno grazie ai tifosi
tratto dalla pagina Facebook Anglocalcio - Quelli che il calcio ingleseQuesta che vi raccontiamo oggi è la storia di una città particolare, una città-isola, la città più densamente popolata del Regno. Una città che vive da sempre di mare. Una città che ha ispirato l'uomo che ha saputo raccontare la durezza della povertà agli albori della civiltà industriale. Da Oliver Twist a David Copperfield, all'amatissimo ‘A Christmas Carol’, Portsmouth resta sullo sfondo, ricordo d'infanzia e musa ispiratrice. E così come spesso accade nelle storie di Charles Dickens sono gli ultimi, quelli che stanno ai margini di una città che vive di duro lavoro, che sanno scrivere le pagine più belle anche nel football moderno. Quel football che grazie a Dio non è fatto solo di trasferimenti e sponsor milionari.
Il Portsmouth FC nasce nel 1898 grazie a John Brickwood, proprietario dell’omonima birreria, che investe subito quasi cinquemila sterline per l’acquisto di un terreno agricolo ai margini di un parco pubblico dove far giocare la squadra. Che da li non si moverà piu. Fratton Park, uno di quegli stadi che profumano di calcio inglese lontano un miglio. Le terraces non ci sono più, ma il complesso spunta in mezzo alle case quando meno te l’aspetti, segnalato soltanto da una meravigliosa facciata mock tudor opera del celebre architetto Archibald Leitch, che la disegnò ispirandosi al Cottage del Fulham.
Fratton Park è il cuore di Portsmouth. Si capisce anche dalle indicazioni stradali che appaiono man mano che ti allontani dallo stadio e recitano “Out of City”. Portsmouth è un'isola, dopotutto, collegata alla terraferma da tre ponti stradali e uno ferroviario, ma quei segnali stanno dicendo un'altra cosa. Là fuori si trova una parte molto diversa di Hampshire. Là fuori c’è Southampton..
Quella della rivalità con i vicini saints, è un fenomeno che pare non essere stato mai intaccato dallo scorrere della storia. Gia nel 1904 i primi prodromi dell’antagonismo compaiono sulle pagine dei giornali locali, che raccontarono di come i tifosi del Portsmouth accolsero i loro rivali di Southampton con un fitto lancio di “clinker”, resti oleosi dei binari ferroviari, ed era solo una partita di Southern League..
Entrambe le città sono dei porti, entrambe sono più o meno, della stessa dimensione, maledettamente vicine eppure così diverse sia economicamente che culturalmente. Southampton appare più “aperta” e borghese. Portsmouth resta storicamente più proletaria e sede di una base militare della Royal Navy. Porto navale, non mercantile. Da qui nascono le storie che cercano di giustificare il soprannome di squadra e città, che si perdono nel tempo e nello spazio. Dai Romani che avevano qui stabilito una propria colonia e un proprio porto, simile per maestosità a Pompei, e da lì l’assonanza con Pompey, fino a scomodare Caterina di Braga, che donò Bombay a Re Carlo II per il suo matrimonio. I marinai notarono una certa somiglianza con il porto della città indiana e Portsmouth fu ribattezzata ‘Bom Bhia’, che anglicizzato diventò Pompey, passando per l’impresa di un gruppo di marinai della città, che scalò la colonna di Pompeo, nei pressi d’Alessandria d’Egitto intorno al 1781, diventando in questo modo noti come i “Pompey Boys”.. e ce ne sarebbero anche altre..un piacevole mistero.
Meno discussa è l’associazione con l’emblema del club: una stella d'oro che sovrasta una mezzaluna su uno scudo azzurro. Roba da tempi cupi, instabili, tempi di tornei, di squilli di trombe, eserciti in marcia, tempi di crociate. I tempi di Re Riccardo I cuor di leone, che concesse alla città il simbolo di "una mezzaluna d'oro su una tonalità azzurra, con una stella fiammeggiante di otto punti", che lui aveva sottratto alle insegne dell' imperatore bizantino Isacco Comneno, dopo la presa di Cipro.
I primi anni della storia del club furono avari di soddisfazioni, campionati minori e fugaci apparizioni in coppa, almeno fino al 1926/27. 20 vittorie su 28 partite, record di presenze a Fratton Park, e per non farci mancare niente miglior vittoria della storia del club (9-1 al Notts County), e, per la prima volta, è First Division. La prima stagione nel gotha del calcio inglese i Pompeys la trascorsero tra alti (pochi) e bassi, e se la stagione si prima celebrava la vittoria piu larga di sempre, era tempo anche di registrare la sconfitta piu netta. Ed ecco che si accomoda il Leicester City, che con un bel 10-0 gli regala un record che mantiene ancora oggi. Nonostante questo i nostri riescono incredibilmente a raggiungere la finale di FA Cup, ma ad interrompere il sogno ci pensa il Burnley. Sei anni dopo, dopo una splendida cavalcata che fa crollare sotto i colpi degli uomini in maglia celeste prima lo United, poi quel Leicester che li aveva umiliati, infine Birmingham City e Bolton, il sogno si interrompe ancora a Wembley, questa volta per mano del Manchester City.
Sei anni ancora, e finalmente e gloria. Wembley, finale di FA Cup 1939. Dall’altra parte ci sono i favoritissimi Wolverhampton Wanderers di cui abbiamo scritto ieri. Dei Pompeys dovrebbero farne un sol boccone..e infatti ne prendono 4! La coppa se ne va cosi sul mare, giusto in tempo per la sospensione delle competizioni. La guerra è attivata anche in Albione.
Portsmouth, come detto, è il porto della Royal Navy, ed alla fine del conflitto ne approfitta per capitalizzare al massimo questa posizione, accaparrandosi tutti i calciatori che avevano prestato servizio militare! E’ l’epoca del “Golden Jubilee” e nella stagione 48/49 i Pompeys potrebbero essere la prima squadra del millennio a fare il double, l’accoppiata Coppa-Campionato. Sfuma il sogno in semifinale, colpevole ancora il Leicester City, ma la First Division è sua! La squadra si ripete anche l’anno dopo, con il campionato vinto all’ultima giornata a Fratton Park, sotterrando l’Aston Villa con 5 gol e stabilendo un nuovo record di presenze, 51,385 cuori battono quella sera per i Pompeys, record che resiste ancora oggi.
Gli anni successivi non riserveranno piu le grandi emozioni vissute al cavallo del conflitto, Anzi. La squadra riuscira, fino al 2008, a collezionare fallimenti a raffica e salvataggi sul filo del rasoio. La squadra precipita nel 1976 in third Division sommersa dai debiti. Le 25mila sterle recuperate da Mr Deacon servono a malapena ad evitare la bancarotta, ma soldi per squadra e tecnici non ce ne sono, e vengono adottate soluzioni interne, giocatori scelti tra i non professionisti e un manager semisconosciuto proveniente da Motherwell. E’ quarta serie. Servono dieci anni ai Pompeys per rialzare la cresta e tornare li dove il abita il calcio dei grandi, anni nei quali piu che il rettangolo verde parleranno per loro i ragazzi della 6.57 Crew di Rob Silvester, faccia di primissimo piano a Fratton Park. Anni cupi, di violenze e scorribande in lungo e in largo per l’Inghilterra, anche grazie alla squadra che pian piano cominciava la sua ascesa, permettendogli lo scontro con quasi tutte le firm del paese, accendendo perfino la scintilla di una Rivolta Rastafariana a base di guerriglia e saccheggio nelle strade di Derby. Ascesa della squadra che tocco il suo apice nella stagione 86/87, il Portsmouth dopo il lungo peregrinare tornava in First Division. Ma in Prima Divisione i Pompeys non ci metteranno piede. Ancora crisi e debiti su debiti. La lega non iscrive la squadra, anzi la retrocede a tavolino.
Fino al 1998 la squadra veleggia senza troppi successi tra Second e Third, sfiorando la promozione nel ‘92 dove perse i play off per mano del West Ham. Ma torniamo al 1998. La stagione del centenario del club. Dovrebbero essere solo giorni di festa per la squadra e i suoi tifosi, ma la pace non abita da queste parti, e per la terza volta è crisi, a dicembre la società è in amministrazione controllata. A salvare capre e cavoli arriverà il serbo-americano Mandaric, che promette investimenti e la rinascita del club. Arriva Redknapp sulla panchina e il ritorno il Premier nel 2006. La società passa ancora di mano. Arriva il franco-russo Gaydamak, raccomandabilissimo business franco-russo coinvolto nel traffico d’armi in Angola e proprietario del Beitar Jerusalem, che pensa bene di trasferire la proprietà tra il Lussemburgo e le Isole Vergini, cominciando tuttavia ad acquistare campioni in serie, e portando la squadra a vincere una insperata FA Cup nel 2008. Ma più la squadra sale in classifica, più aumentano i debiti e spariscono gli asset solidi iscritti a bilancio. Gaydamak lascia il club a pezzi, millantando crediti. L’anno dopo il Portsmouth è una girandola: cambiano ben quattro proprietari, e tutti passano il ‘fit and proper person test’ della federazione e della Lega, che dovrebbe garantire la solvibilità dei proprietari ma si dimostra facilmente aggirabile. Il primo dei 4 fu tale Al Fahim, che neanche tempo di sedersi sulla poltrona presidenziale che, data un’occhiata al bilancio, cominciò a vendere giocatori a destra e a manca, da Crouch a Distin, da Johnson a Kranjcar e via via gli altri. Ad ottobre la proprietà passò di nuovo di mano, Ali al-Faraj, della cui esistenza sono in molti a dubitare, divenne il nuovo proprietario. Si scoprì poi che la manovra per entrare in possesso delle quote di maggioranza era stata finanziata da un prestito preso da una compagnia di Hong Kong appartenente a Barlam Chainrai, che di fatto diventò presidente quando fu chiaro che al- Faraj non aveva un pound da spendere. Intanto cominciarono a girare voci di stipendi non pagati e il Portsmouth fu colpito da un embargo sui nuovi acquisti. Non potendo rinforzarsi, la squadra continuò a rimanere nei bassifondi della classifica, nonostante un’altra finale di FA Cup, questa volta persa contro il Chelsea, e quando fu colpita da nove punti di penalizzazione, diventando la prima squadra di Premier League ad entrare in amministrazione controllata, il suo destino fu scritto.
130 milioni di debiti. Oltre alla penalizzazione e alla retrocessione. La cosa più triste quando si entra in amministrazione è che mentre i giocatori sono protetti da un accordo tra la Lega e il loro sindacato, e devono essere quindi pagati, lo staff non tecnico non lo è. Ben 33 dipendenti del Portsmouth FC furono licenziati per risparmiare costi che non arrivavano allo stipendio mensile di un singolo calciatore. 2011. Tutto il pacchetto azionario passa al lituano Vladimir Antonov, con un grande sospiro di sollievo.
Il sollievo dura 5 mesi. Antonov viene colpito da un mandato di cattura internazionale. Il Portsmouth, di nuovo, senza padroni e senza fondi, è di nuovo in amministrazione controllata, ancora -10 punti, ancora decisivi. Per il Portsmouth è la fine.
E proprio nel momento di massimo sconforto, mentre la squadra conduce una stagione spartana in fondo alla classifica, che i tifosi invece di continuare a cercare l'ennesima proprietà multimilionaria, decidono di mettersi in proprio e acquistare la squadra. Il giorno della resurrezione è il 19 Aprile 2013. Il Portsmouth FC diventa in quella data il club con il più largo azionariato d'Inghilterra. Organizzato dai tifosi con l’aiuto di piccoli imprenditori locali, è previsto l’acquisto massimo di un’azione (prezzo minimo una sterlina) per evitare maggioranze mascherate. L’ultimo ostacolo è lo stadio, che la vecchia dirigenza non vuole cedere a meno di 12 milioni. Il Pompey Supporters Trust ne offre 3, e il giudice Smith al termine di una giornata drammatica accetta. E anche lo stadio, ultima condizione necessaria, passa in mano ai tifosi che possono cosi procedere con l’acquisto del club: che come da statuto ritornerà ad avere lo scopo di migliorare il benessere della comunità, e non di creare profitto.
La stagione 2013-2014 inizia con una bruciante sconfitta contro l'Oxford United. Ma a salutare il ritorno del Portsmouth in quarta divisione, finalmente pronto a dismettere le discussioni finanziare e parlare solo di calcio, ci sono 18.181 spettatori, quasi tutti abbonati, quasi tutti proprietari della loro squadra. Uno stadio che solo quattro anni prima era teatro dello show business della premiership. Uno stadio pieno che accoglie con la stessa dignità il Chelsea e il Morecambe. Quando le categorie non contano un accidenti.