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Possession

Creato il 18 gennaio 2015 da Fabio Buccolini

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Mark e Anna sono marito e moglie, una coppia come tante, sposati e con un figlio, Bob; un giorno la coppia va in crisi quando Mark inizia a scoprire che Anna lo tradisce; sembra aver trovato l’amante di sua moglie, ma la verità si rivela più complicata, e sconvolgente, del previsto.
Questo film è diretto dal regista polacco Andrzej Zulawski, grande regista europeo, ed è ambientato nella vecchia Berlino, quando c’era ancora il muro a separare Berlino Est da Berlino Ovest (siamo nel 1981, otto anni prima del crollo).
Alla sua uscita subì delle pesanti critiche dovute ad alcune scene “splatter”, critiche che francamente non comprendo, dal momento che definirle scene splatter mi sembra alquanto eccessivo, anche perché dovete considerare che sia la data di uscita del film (anni Ottanta appunto) sia il budget a disposizione ridotto non hanno contribuito al realismo delle stesse (in parole povere le ferite si vede che non sono reali ferite, il sangue si vede che è vernice rossa, è un po’ come vedere un vecchio film di Dario Argento, e a mio avviso è inutile puntare sul realismo nella violenza delle scene se il periodo e i mezzi a disposizione non sono all’altezza).
Il punto di forza del film sono anzitutto le grandi interpretazioni, discreta quella di Sam Neill, eccezionale quella della bella Isabelle Adjani, che per questa parte ha anche vinto il premio al Festival di Cannes per la miglior attrice.
Le riprese sono molto particolari, a tratti mobili, come a seguire passo passo le azioni dei protagonisti, a tratti distanti e statiche, molto efficaci, a dimostrazione che Zulawski in ogni suo lavoro sa quello che fa.
Ho deciso comunque di recensire questo film perché appartiene al genere weird, quindi di difficile interpretazione, ma dai profondi significati, talmente profondi da portare Lynch a definirlo come: “Il film più completo degli ultimi trent’anni”; un po’ esagerata come affermazione, dal momento che i suoi dello stesso genere (da Eraserhead, del 77, fino a INLAND EMPIRE, del 2006) colpiscono di più, sia nei molteplici significati, sia nelle immagini, sia nella difficoltà di comprensione.
Di fatto questo film è più facile da comprendere rispetto ai film di Lynch, ma da quello che ho letto in rete sembra che le gente scriva dei significati a caso, che solo loro vedono, ignorando i “chiari” messaggi della pellicola.
Ora seguirà la spiegazione del film, che conterrà inevitabilmente anche qualche spoiler, quindi, per coloro che non l’avessero visto, sta a voi scegliere se continuare a leggere o se prima vederlo (ricordo, per chi fosse interessato, che nel blog ci sono anche le varie spiegazioni di: Eraserhead, Strade Perdute, Mulholland Drive, INLAND EMPIRE, Revolver, e della serie televisiva Lost).
Mark è una specie di investigatore privato che lavora per i servizi segreti tedeschi, e il suo compito è quello di ritrovare un individuo ricercato, che indossa sempre dei calzini rosa; il rapporto con sua moglie da qualche tempo non è più lo stesso, e un giorno scopre che lei lo tradisce; segnato da questo fatto si prende una pausa di riflessione dal lavoro; sembrerebbe aver scoperto il suo amante, un certo Heinrich (devoto al buddismo e alla filosofia Zen), e in effetti per qualche tempo è stato effettivamente così, ma questo appartiene al passato, ora non è più il suo amante, da quando Mark ha scoperto le continue “scappatelle” della moglie esse non sono più con Heinrich, ma con qualcun altro.
Così assume due investigatori privati, per seguire la donna, e scoprono che si reca costantemente in un appartamento, e che il suo amante è una specie di mostro ripugnante; non potranno rivelare ciò al marito, poiché lei li uccide entrambi.
Partendo dalla crisi di una coppia Zulawski ci mostra tutti i temi a lui cari, dallo sdoppiamento di personalità (ci viene mostrata a un certo punto una “maestra” di scuola del figlio tutta vestita di bianco, identica ad Anna), al significato dell’esistenza; è proprio questo il messaggio del film, l’appartamento dove si reca puntualmente Anna è una metafora dell’inconscio, dove “rinchiudiamo” la nostra “parte malvagia”, il mostro, che viene fuori se si perde l’identità, se si perde il senso dell’esistenza; nel film la crisi di Anna inizia con i suoi tradimenti e quindi con la perdita dei valori familiari, crisi che culmina nella scena della metropolitana, dove sembra tormentata da dolori lancinanti, e a un certo punto “partorisce” una specie di melma; capire questa scena è molto importante, è qui che viene spiegato il significato della maestra vestita di bianco (interpretata dalla stessa Isabelle Adjani), la quale tanti in rete hanno ipotizzato essere la figura ideale che Mark vorrebbe: ma che vi siete fumati, la scena della metropolitana viene mostrata durante un pesante litigio tra i coniugi, come un ricordo, e al termine Anna con lo sguardo rivolto alla telecamera dice: “Quella che ho perso laggiù era mia sorella, la Fede…di bianco vestita…”, più semplice di così, viene spiegato a parole che la maestra rappresenta la Fede (di Anna, ma estesa a chiunque), e il mostro nell’appartamento rappresenta il Caos, che col passare del tempo assume sempre di più le sembianze di Mark.
Sono scene simboliche, perdita dell’identità, dualismo Fede e Caos, tutto viene esteso dalla necessità di dare un senso a tutto, un significato all’esistenza: Bene e Male.
Alla fine tutto si riduce a questo, al Bene e al Male, necessari a dare un senso a tutto, richiamati in continuazione nel film dai numerosi riferimenti alla religione, a partire da Heinrich, devoto al buddismo e alla pace interiore, in conflitto con Mark, la cui vita lo ha portato a non credere, ma se non credi la morte risulta spaventosa e la vita crudele e spietata; la paura della morte che caratterizza tutti viene esaltata nella scena in cui Mark, parlando con uno dei suoi datori di lavoro, gli racconta che il suo cane, da tempo malato, andò a morire sotto le scale, e che il suo sguardo mentre se ne andava lo aveva profondamente segnato, portandolo continuamente a chiedersi cosa ci fosse dopo la morte, se c’è davvero un dio al di sopra dello spazio e del tempo, e il datore di lavoro gli risponde che è ora di finirla con le illusioni, perché ormai non è più un bambino (scena che rappresenta la paura che affligge chiunque, che può portare a far perdere il senso dell’esistenza).
Anche la madre di Heinrich è importante per il messaggio del regista, soprattutto in quello che dice dopo la morte del figlio (ucciso da Mark), tutto da ricondurre all’incertezza della vita, ma anche alla speranza di ricongiungersi.
Alla fine del film i due coniugi vengono uccisi in una sparatoria con la polizia, sopravvivono solo gli “alter ego” di Anna: la Fede (nelle sue stesse sembianze) e il Caos (nelle sembianze di Mark); il finale è apocalittico: mentre la Fede è a casa con Bob, il Caos bussa alla porta, e Bob spaventato dice a lei di non aprire; mentre lei va alla porta, Bob si suicida, affogandosi nella vasca da bagno, con a seguire quella che sembra essere una imminente Apocalisse.
Se si apre la porta al Caos (o forse al Male) la morte rappresenta l’unica via d’uscita.
Curiosa è la scena dopo la sparatoria con la polizia, dove il datore di lavoro di Mark (quello con cui fa il discorso sulla morte del suo cane) si tira su il risvolto dei pantaloni e mostra di avere i calzini rosa, come quelli che doveva indossare l’uomo ricercato da Mark: chiaro riferimento all’uguaglianza di ogni essere vivente, tutti nella stessa situazione, ognuno è il Bene e ognuno è il Male (come dice anche Anna ad Heinrich prima di aggredirlo: “Noi siamo come gli insetti, nessuna differenza…abbiamo esoscheletri diversi fuori, ma dentro siamo tutti uguali…”).

EDOARDO ROMANELLA



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