Buio finalmente, ora di un post. Prima non riuscivo ché c'era troppo sole, troppa luce mi chiamava a non pensare scrivendo ma vivendo. Alt. Qui c'è qualcosa che non torna. Scrivere e vivere: a parte che entrambi appartengono alla seconda coniugazione, in più hanno in comune cinque lettere cinque, mica discorsi e io non ne faccio.È qualche giorno che penso al matrimonio in generale, non tanto al mio o anche, non importa, più che altro in senso sociologico, psicologico, filosofico e mi rendo conto che non se ne esce (quella è la porta). Ho trovato una pagina, in certi tratti un po' datata, di Denis De Rougemont (
L'amore e l'Occidente) che farebbe al caso nostro (intanto fa al caso mio), anche di coloro che giustamente - e speriamo presto - la ottengano la possibilità di sposarsi, ovvero gli e le omosessuali.
Tuttavia, come bene disse
Olympe, più dell'estensione sarebbe più salutare l'abolizione del matrimonio come istituzione e non chiedetemi perché, perché l'ha già scritto De Rougemont:
«Tutta l'evoluzione dell'Occidente procede dalla saggezza tribale al rischio individuale; essa è irreversibile, e bisogna accettarla nella misura in cui tende a ordinare il destino collettivo o naturale alla decisione personale».
Il problema casomai è che questa decisione personale, oggi, sta diventando un privilegio per pochi, riservata soprattutto a coloro che se la possono permettere. Fottuto Occidente che non sei altro: io ce la metto tutta, ma aumentami lo stipendio, cazzo.