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Post Democrazia

Creato il 11 luglio 2013 da Albertocapece

7492017-un-cesto-pieno-di-carta-straccia-nota-lo-sfondo-puo-apparire-rumoroso-ma-questo-e-solo-il-materiale-Anna Lombroso per il Simplicissimus

Chi come me non aveva partecipato all’edificante liturgia parademocratica delle primarie del Pd, si è doluto di averci rimesso amicizie, di essere stato tacciato di stolido snobismo, accusati  di stare aristocraticamente appartati, in un accidiosa superiore marginalità, quella di chi per eccesso di critica preferisce il disincantato disimpegno e le dimissioni dalla responsabilità civile.

Avevamo ragione noi invece  a non lasciarci incantare da una sacra rappresentazione, evocativa di partecipazione, festosa come una scampagnata domenicale, consolatoria come un rito di riconoscimento ed appartenenza.  Il partito che aveva cancellato con l’articolo 18 lotte di anni per le garanzie e i diritti, il partito che con la manomissione sobria e silente della Costituzione aveva cancellato la sovranità dello Stato, il Partito  che con la delega a Monti aveva cancellato le funzioni della politica e del parlamento, esigeva una cambiale in bianco, la sottoscrizione di un patto di ferro da parte dei suoi simpatizzanti rinviando al dopo, al dopo-dopo Berlusconi, al dopo tecnici, al dopo eclissi della democrazia, l’avvio delle grandi riforme, istituzionali ed economiche, che dovevano traghettare il paese fuori della crisi politica, economica e sociale. E infatti chi votava alle primarie, a quell’incantevole, occasionale simulazione che doveva riscattare dal disincanto della democrazia mediante una fila ordinata,   era vincolato moralmente a sostenere il Pd nel suo  percorso elettorale, di “lotta e di governo” con un atto di incondizionata fedeltà, la sottoscrizione di quella carta d’intenti che aspirava ad essere qualcosa di più del contratto con gli italiani di Berlusconi,   un impegno che  andava mantenuto nelle urne, quelle vere, ben oltre quel disinvolto  spot di   pubblicità progresso, anche se significava aderire a quello che puntualmente si è verificato, mettersi sotto padrone, e proprio quel padrone in contrasto, sia pure indeterminato ed esile, al quale avevano coagulato identità e consenso.

Va di moda la distruzione della carta, senza nemmeno riciclaggio, Carta costituzionale e carta di intenti, schede elettorali e referendarie,  nella grande discarica del post democrazia, ridotte a rifiuti e come tutti i rifiuti soggetti a essere rimossi pudicamente, nascosti vergognosamente, accantonati castigatamente, perché non facciano tornare in mente idee di libertà, visioni di certezze e lavoro, desiderio di diritti, bisogno di legalità.

Da  tempo abbiamo smesso di esigere autocritica dal piccolo irriducibile esercito dei notabili, intenti all’esercizio di disdicevole e risibile arrampicata su specchi sempre più impervi, disperati cialtroni aggrappati alla zattera di un sistema elettorale  che ha garantito loro la sopravvivenza e di una illegalità resa legittima dal disfacimento dell’assetto democratico, dal leaderismo più bieco, dalla privatizzazione dei partiti e della politica, con  l’indiretto sostegno di funzionali ribelli integrati, pronti al voto per carità di patria o malintesa lealtà, proprio come gli italiani persuasi della necessità del consenso in nome della necessità, incuranti delle classifiche di Trasparency che identificano i partiti come motori e “nutrienti” della corruzione. Figuriamoci se possiamo aspettarci autocritica dai loro elettori, dai militanti che si compiacciono del semplice esercizio del mugugno, di simpatizzanti ridotti tardivamente ad antipatizzare, contigui per disperazione, diserzione, piccoli interessi, voglia di “esserci” comunque, che sperano di essere redenti dai cinguettii di Civati, dalle “palestre” del montiano  Barca, dalle acrobazie  tardive di Cuperlo, dalla realpolitik briccona di Renzi.

Che poi chi sa più chi sono quei freddi contenitori arrangiati, messi su alla bell’e meglio intorno al proposito illusorio di un maggioritario egemonico e bipolare, inteso a una pacificazione arrendevole dei contrasti, regole e licenze, padroni e operi, pubblico e privato, destra e sinistra. E è sempre più volatile l’identikit dell’elettorato, sempre più esiguo, non più delimitato dalle antiche e sempre più esaurite fedeltà, non più strutturato intorno a interessi affini o appartenenze sociali e culturali, frastornato da un dissenso che non si esterna con un clic sul mi “spiace” non ancora previsto dai social network.

Sono come tutti gli italiani tramortiti dalla perdita di ogni certezza, annichiliti dalla scoperta, con la miseria, che i loro bisogni non sono rappresentati o testimoniati da nessuno, intimiditi dalla prevalenza del ricatto come sistema di governo. Eppure oltre il ricatto c’è il riscatto, se si fa sentire la propria voce, se si fa pagare la slealtà commessa rompendo patti antichi e facendo a brandelli la carta, quella vera, Costituzione e schede, che sono nostre.


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