Non so se vi ricordate l’usèl. La cocorita. La zoppetta strappata coraggiosamente dalle fauci vogliose dei mie cani perennemente a dieta. Lei. O lui, chi lo sa.
Ecco, la cocorita, l’usèl. Mi sono sempre chiesta come avesse fatto ad evadere dai vecchi padroni.
Ho sempre cambiato e pulito la gabbia chiusa in casa, pensando che, se l’avessi fatta scappare pure io, avrei potuto almeno riprenderla e rimetterla al suo posto. Nella gabbia. Perché, ditemi, dove la mandate una cocorita con le zampette un po’ fesse, nel grigio dell’Italia settentrionale, con un’emergenza maltempo che pare stia arrivando così forte che hanno allertato la protezione civile (ossignùr, arriva il Generale Inverno)?
Sì, vi siete persi, ma la domanda era: dove la mandate la cocorita?
La risposta esatta è: la tenete in gabbia, con i suoi semini, la sua acquetta, i suoi bastoncini, i suoi sportellini, e così via.
Mica lo ascoltate il maritino che vi dice: a me gli usèi in gabbia non piacciono, lasciamoli liberi di volare per ogni dove (non si esprime proprio così, il maritino, ma insomma, il concetto è quello).
Che poi ci sono i figlioli che dicono: ma sei matto, e i cani?, e il freddo?, e i gatti?, e il maltempo?
Insomma, l’usèl era lì, dentro casa, fuori casa, in cucina, sul balcone, a seconda del tempo.
E io lì a chiedermi: ma come ha fatto a scappare dalla gabbia dei suoi poveri padroni che forse son lì che ancora lo cercano?
Meno male che noi stiamo più attenti.
Attentissimi.
Così, quando oggi esco sul balcone per prendere l’usèl (con gabbia e tutto) e portarlo al riparo dalla notte tenebrosa e ormai fresca, anzi fredda, e umida, anzi piovosa (oggi ho messo le calze, dichiaro aperto l’inverno, chiamate la protezione civile), quando esco, dicevo, e non lo vedo, che cosa ho subito pensato?
No, non ho pensato al marito che lo aveva liberato.
Ho pensato che non ci vedevo bene.
Giuro: sono rimasta almeno mezzo minuto a guardare la gabbia da tutte le parti (che mezzo minuto sembra poco, ma provate a guardare una gabbia vuota per trenta secondi e vedete che sono un sacco di tempo; abbastanza per farvi sentire una deficiente).
Comunque, sì, la seconda cosa che ho pensato, quando mi sono convinta che l’usèl non si era nascosto dietro i bastoncini di semi o sotto i granelli della sabbiolina, ecco, la seconda cosa che ho pensato è quella del maritino. Sono tornata in casa e ho chiesto: “hai liberato l’uccello?”, che detto così mi rendo conto che non ci faccio una bella figura, ma il maritino ha capito subito di quale usèl parlavo e mi ha detto: io? No, perché?
E io ho risposto: perché non c’è.
Anzi, ho risposto, veramente: perché mi sembra che non ci sia più.
E poi ho detto: vieni a vedere.
E il maritino si è alzato dal divano dove trascorreva la sua influenza quotidiana, è venuto sul balcone e ha guardato.
E io gli ho detto: guarda, la vedi?
Intendevo l’usèl, ma essendo una cocorita si può anche dire “la” vedi.
Comunque, non la vedeva.
E io sono stata lì a guardare una piuma che spenzolava da una griglia della gabbietta e ho pensato persino che l’usèl si era infilato tra una sbarretta e l’altra e ho anche pensato: apperò.
Poi ho visto sul balcone la scatoletta dei semini in terra. Che di solito la scatoletta dei semini stava voltata in dentro nella gabbietta e fermata da uno sportellino con la molla. Ecco, lo sportellino era chiuso (per quello che ho pensato che l’usèl avrei dovuto chiamarlo Houdini), quindi sul momento sembrava tutto a posto. Invece, pensate voi, adesso: l’usèl ha spinto e spinto e spinto finché non ha sbattuto fuori la scatoletta dei semini, scassato la molla dello sportello, e se n’è ito.
Un evasore globale.
Addio. Spero stia bene, lì dov’è ora, con l’acqua che viene come Dio la manda e la protezione civile allertata.
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