Terzo articolo : La crisi non è finita. Strategie di sopravvivenza in età post-moderna
Come possiamo definire la nostra era? Alcuni la definiscono surmodernità, altri iper-modernità, sicuramente attraversiamo una fase di transizione che va oltre la modernità. Viviamo una fase che qualcuno chiama d’interregno. Partendo dagli scritti di Gramsci per interregno si intende un momento storico di transito tra un sistema che perde potere e quello successivo, ancora assente. O meglio non ancora realmente percepito. Perdono potere le istituzioni della modernità. Lo stato-nazione, nella globalizzazione, perde potere a vantaggio delle multinazionali che hanno spinto e determinato tale fase. Giddens ritiene che la post-modernità non rappresenta in realtà una rottura con la modernità, ma una versione superiore: la versione moderna del mondo. Il senso sta nel termine da lui coniato, modernità radicale. Con l’espressione “ conseguenza della modernita” l’autore intende dire che la globalizzazione è semplicemente un allargamento della modernità su scala mondiale, o meglio, un’estensione dei valori tipicamente moderni dalla società al mondo. Secondo Bauman in questa situazione di transito la condizione planetaria si troverebbe sospesa tra le norme moderne e qualcos’altro, tra lo stato-nazione di stampo novecentesco, che vede le sue istituzioni divenire sempre più burocratizzate e disfunzionali, e qualche altra concretizzazione dei poteri (multinazionali, aggregazioni di Stati, sovranità fluttuanti, alleanze legali e non). La teoria dell’interregno ha il pregio di farci capire come avvengono le conseguenze che si creano. Chi detiene il potere, in queste situazioni caotiche, ne approfitta sia per mantenere ciò che ha, sia per trarre vantaggio dalla confusione generale e accumularne ancora di più. Cosi si sono create le realtà che oggi dominano: multinazionali, neo-protezionismo, neo-colonialismo, segregazione, sfruttamento e speculazioni. Hanno visto lungo nel caos e spinto gli eventi verso i loro interessi. Tra il 1980 e il 2004 il numero totale delle imprese multinazionali è aumentato da 17.000 a oltre 70.000. Queste imprese collocano la maggior parte degli utili in valuta o in prodotti derivati, invece di distribuire. L’ascesa delle multinazionali va di pari passo con il processo di liberalizzazione, regionale e globale del commercio. Esse possono permettersi di dire la loro nella politica interna di una nazione, minacciando, ad esempio, di non intessere relazioni commerciali con questo o con quello Stato, qualora venissero approvate leggi a protezione dei lavoratori o si imponessero tasse fastidiosi ai loro guadagni. Tale arroganza era inizialmente diretta ai paesi del terzo mondo, ma oggi, protette dall’acquisizione di maggiore potere (legale, giuridico ed economico), si rivolgono con gli stessi toni alle nazioni occidentali di cui non temono più i controlli. Per far ciò cercano di influenzare i governi direttamente o di esercitare un’azione sulla pubblica opinione tramite i media in loro possesso. Tale attività si definisce lobbismo. A Bruxelles operano 15.000 lobbisti che influenzano la Commissione Europea.
Grandi ONG come Transparency International, Medici senza Frontiere, Greenpeace, Oxfam sono delle vere potenze nel mondo di oggi e hanno un peso superiore a tanti governi di piccoli dimensioni, se misuriamo la loro capacità reale di influire sulle condizioni di vita di intere popolazioni e di porre le basi per un futuro diverso. Lo stesso si può dire di alcuni poli universitari d’eccellenza, che disseminano idee nel mondo intero: Havard o Berkeley possono influenzare il futuro del mondo più del governo belga, o maggior ragione di quello sudanese. Ci sono poi degli individui che per l’uso fatto delle loro risorse economiche pesano quanto e più dei governi di grandi nazioni. Basti pensare alla filantropia di Bill Gates, all’impatto che la fondazione che porta il suo nome esercita nella lotta alle epidemie che colpiscano le popolazioni più povere del pianeta.
Nell’elenco di queste nuove figure, non possono mancare, naturalmente, Google, Facebook, Twitter. Sappiamo quanta parte hanno avuto questi strumenti per consentire ai giovani del Cairo di comunicare fra di loro durante la rivolta contro il despota Mubarak. (F. Rampini)
Una delle particolarità sociolinguistiche che contraddistinguono l’epoca in cui viviamo è una certa inclinazione al neologismo. Per esempio l’ uso del post: post-artistico, post-femminismo, post-socialismo, post-industriale, post-reale, post-urbano, post-umano. Quindi post-moderno.
Esiste una data indicata da alcuni autori allo stacco definitivo dalla modernità. Harvey, citando l’ architetto e paesaggista Charles Jencks indica il 15 luglio 1972, ore 15,32, come momento simbolico della fine del modernismo e quindi il passaggio al post-modernismo. Quel giorno e quell’ora è coincidente con la demolizione, perché considerato inabitabilità per le persone di basso reddito che ci vivevano, di un quartiere costruito negli anni ’50 nella città di Saint Louis, dall’architetto M. Yamasaki. Era più facile distruggere, ridislocare o ricostruire che rettificare, riordinare o correggere. In Francia, durante gli anni ’60 e ’70, il termine post-moderno è stato utilizzato per descrivere quegli stili e movimenti in ambito letterario, pittorico, artistico e architettonico che la modernità non riusciva più a contenere. Coloro che non ritengono il post-modernismo come una nuova era storica, lo usano per fare riferimento comunque al tardo modernismo( in cui “tardo” può considerarsi un altro suffisso). Negli anni ’80 i concetti di moderno e post-moderno furono contrapposti delineando il secondo come il superamento del primo. Il termine post-modernismo risale agli anni ’30. Il Marxista Ernest Mandel(1969) ha inteso il post-modernismo come l’ideologia del “tardo capitalismo”. Vent’anni dopo il termine figurava sporadicamente nel contesto poetico e letterario angloamericano e indicava un atteggiamento decadente di reazione agli eccessi del modernismo. Secondo Scott Lash (’90) il post-modernismo è una cultura che è in relazione di compatibilità con gli aspetti economici del post-industrialismo e del capitalismo. Attualmente il termine post-modernismo viene applicato ad un vasto insieme di sviluppi: nella teoria critica, in filosofia, architettura, letteratura, religione e cultura, nel senso di emergenti da, in reazioni a, o come superamento di; per questo è difficile arrestarlo in una forma.
La sua è frammentazione pura, l’indeterminatezza, sfiducia di tutti i linguaggi totalizzanti. Rifiuta le mete-narrazioni umane, che gli sono di ostacolo (religione, etica, identità). Il post-modernismo è una bestia diversa e si muove (si sviluppa) in modo differente dalle altre. “Cose che nascono da altre cose”, germinazione autonoma, flessibilità, incertezza, ambiguità e rischio: questa è l’antinorma post-moderna. E’ la voce che decompone le istituzioni della modernità e punta verso un nuovo e diverso tipo di ordine sociale. Una post-modernità che non rifiuta la modernità, né la supera, ma la assimila, la digerisce, la ingloba,, nasce cosi’ il sospetto d’essere moderni e post-moderni insieme. Il processo assomiglia a un riempimento dal di dentro, in cui la concretezza moderna veniva sostituita dalle realtà prodotte, in accelerazione, dalla nascente poat-modernità. Cioè la sostanza della realtà moderna diminuiva di densità per uno svenamento progressivo dei suoi valori, sostituiti da quelli commerciali. Le consuetudini, le relazioni divenivano, via via, più leggere e lo spazio veniva occupato nominalmente dalle sfaccettature della nuova libertà. Ben presto privatizzazione e calcolo personale sostituirono parentele, alleanze e rapporti umani. L’essenza dell’identità moderna mutava mentre la sua facciata era mantenuta. Questo processo progressivo durò un trentennio a partire dal secondo dopoguerra. Già alla fine degli anni ’80, sotto il peso delle rivoluzioni sociali in Occidente e di quelle economiche(ex-patto di Varsavia, ex-Cina comunista), i progetti per una società alternativa fondata sui diritti dell’uguaglianza esemplificati nella Dichiarazione dei Diritti Umani, cosi’ come le conquiste sociali, erano diventati prodotti del mercato e non più ideali su cui costruire il millennio. Il mercato e non la famiglia o il bene sociale,fu il luogo su cui ispirarsi per questa società.
Il termine surmodernità, concettualmente sovrapponibile a quello di post-modernità, e la nozione che sta alla base dell’analisi di M. Augè (’93) La surmodernità sarebbe l’effetto combinato di una accelerazione della storia, di un restringimento dello spazio e di un’individuazione dei destini. Il risultato è che il pianeta ci sembra sempre più piccolo fisicamente e infinitamente più grande per altri aspetti (sociali e culturali). Nella globalizzazione ci siamo spesso sentiti troppo piccoli e ininfluenti(F. Rampini). P. Khanna parla di un ritorno al Medioevo. Non il Medioevo banalmente (ed erroneamente) come un’età dell’oscurantismo e della stagnazione, ma al contrario il “nostro” Medioevo italico delle città-stato, che prefigurarono secondo F. Braudel un’economia-mondo nel Mediterraneo, l’anticipazione di quella che un millennio dopo sarà la globalizzazione. Naturalmente il medioevo può sfociare in due direzioni diametralmente opposte: verso nuovi equilibri mondiali più flessibili, ottenuti grazie a reti di relazioni internazionali profondamente diverse rispetto a quelle degli ultimi secoli, oppure verso un caos ingovernabile e angoscioso.
Viviamo in un mondo dove gli attori non tradizionali sono i veri protagonisti delle relazioni internazionale. Tra questi ci sono le organizzazioni non governative, i mass media e le grandi imprese.. Ciascuno di noi , se si mobilita come attivista per una causa in cui crede , unisce le proprie energie a quelle di tanti altri cittadini può influire sugli eventi mondiali. Oppure si può vivere passivi e impotenti rispetto a tutto. Ancora peggio essere dipendenti da nuovi stili di vita e vittime di un uso patologico dei media con un comportamento tossicomanico e continuamente in crisi evolutiva. La psicologia ha già descritto tra le nuove sindromi (sindromi post-moderne) la dipendenza da internet, la bulimia da acquisti su internet, il sesso virtuale, la dipendenza da siti pornografici, il gioco d’azzardo da internet, l’ossessività da contatti(amici digitali), il suicidio collettivo su internet. Benchè la realtà virtuale non sia considerata una sostanza in se stessa, la sua esagerazione è considerata un abuso che va curato con metodiche di terapia sia esterne che interne alla rete. In Cina , ma soprattutto in Corea del Sud, esistono cliniche specifiche per trattamento con ricoveri ad hoc l’addiction . Le dipendenze da internet ci pongono di fronte a questi due decenni di definizione, mentre i fenomeni si sviluppano senza attendere statuti giuridici. Le iperattività infantili e la depressione adolescenziale sono in netto e parallelo incremento con le incompetenze di gestione di famiglie ed educatori. La noia e l’ostentarsi, il bere, la sessualità esibita, l’impasticcarsi accomunano una fascia generazionale intrappolata fra il proprio vuoto e lo smarrimento degli adulti; un’altra delle tante facce della sindrome post-moderna. Le famiglie hanno respirato quest’aria d’invasività, arrivata a loro non più filtrata dai macro sistemi protettivi quali lo Stato, l’identità politica e geografica, la religione, l’etica rivoluzionaria. Nessuno ci ha avvertito del pericolo. Negli anni ’80 l’invasore è penetrato, ha commutato le nostre radici, è cambiato il tempo e siamo transitati. Una parte di noi , dietro le maschere e i sorrisi, devia le acque del torrente verso casa propria, assetando tutte le regioni a valle. Bisogna rientrare al progetto vitale ancorato alla madre terra, recuperando i valori e le radici dell’umanità prima che i danni siano irreparabili. La post-modernità ha reso chiaro il fatto che ogni situazione può muoversi potenzialmente in qualsiasi direzione.(Paolo Cianconi) Per questo è importante recuperare il senso del nostro ruolo di cittadini.
E’ possibile approfondire queste tematiche consultando i due libri a cui fa riferimento questo articolo: “Addio ai confini del mondo” di Paolo Cianconi FrancoAngeli 2011 e “Come si governa il mondo” di Parag Khanna Fazi Editore 2011