giorni fa ti scrissi una lettera, ostentando una discreta disinvoltura sul suo destino, sulla possibilità che tu riuscissi a leggerla. Poi mi sono scoperto come un bambino appeso alla cassetta, intento a scrutare che fine avesse fatto. Perché, quando ne imbuchi una, ti chiedi sempre quali strani giri facciano i tuoi pensieri, attraverso quali carsici canali arrivi proprio fino alla persona a cui è stata scritta, dopo aver attraversato il tuo silenzio.
Mi sono scoperto a guardare i colori del buio di un mail box. E dentro ho visto che non c'eri ancora. Allora ho pensato che io non sono sul Pequod; e non potrei mai salire su una nave da dove si scrivono lettere che forse non verranno mai recapitate, che attendono un incontro, un incontro per mare di anime che vadano laddove tu hai issato le vele, promettendo di tornare, facendoti promettere di attendere lo sbarco. Parlano delle promesse da marinaio, la fanno facile quelli che restano a terra. Io non sono un marinaio, ma ho atteso ugualmente la fine della bonaccia.
In realtà, nel vento, c'è stato chi mi ha detto che ti conosce, che alla prima occasione ti recapiterà il mio messaggio. Ma sai, quando parli con qualcuno, con qualcuno che non conosci - con te, Roberto - è difficile sapere cosa ti arriverà; e certo, non ti rendo la cosa più semplice moltiplicando le mie parole. Più che una lettera, sembra un diario di bordo. O come quei messaggi agghiaccianti dello scrupoloso capitano MacWhirr alla moglie, sulla pacata navigazione, sull'assenza di tempeste. Avrai ben capito che sono altri, i mari su cui navigo. Ma guardo il barometro e so ascoltare i miei ufficiali. Me ne sono circondato.
Eppure, nel cercare le tracce di ciò che avevo scritto, mi sono imbattuto in te. Come se tu mandi una scatola di cioccolattini e dei fiori a una bella donna, in attesa di una risposta, e poi te la trovi davanti a fare una conferenza di scienze nutrizionali nel supermecato dove vai a comprare le patatine e il burro salato. Ho visto che sabato scorso, il 10 dicembre, sei andato ospite da Fabio Fazio e hai presentato il tuo nuovo album. Sinceramente non capisco proprio perché si continuino a pubblicare greatest hits, soprattutto se gli inediti sono così belli e importanti. I colori del buio è subito entrato nel mio lettore mp3. Dubito che possa sostituire Canzoni e cicogne o Le rose blu, ma si aggiungerà a L'ultimo spettacolo, senz'altro.
Sai? Ho sempre trovato L'ultimo spettacolo la canzone più elegiaca che il tempo moderno ci abbia regalato. Volevi parlare di guerre, e finisci col parlare di amore; niente eroi, uomini: ma che uomini e che donne. Una recusatio in piena regola: è così che l'ascolto, penso al mio Properzio su cui ho lavorato per tre anni e mezzo e sorrido. Non per la recusatio, ci mancherebbe. Anzi: tu sei uno che non si tira mai indietro. Piuttosto, vai avanti a Napoli, vai, abbiamo bisogno di chi prova, e magari sbaglia, ma prova a far rinascere un paese, una città che amo profondamente per quanto la conosca poco. Viva Napoli. Viva le sue mille possibilità di essere ancora più grande e più bella.
E che non sia, a Napoli, che un nuovo, lungo, lunghissimo spettacolo. Un lungo, lunghissimo arrivederci. In bocca al lupo e grazie di tutto.
Roberto Oddo,
Palermo
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